Papa Francesco ripete spesso che il terrorismo di matrice islamica si vince non dichiarando una “guerra di religione”, ma promuovendo il “dialogo con l’islam”, specialmente con le sue correnti più moderate. Molti credenti in Cristo e figli devoti della Chiesa non capiscono o non condividono quel che dice il Papa italo-argentino. Tento di spiegarlo partendo dalla mia esperienza di missionario-giornalista. Negli anni ‘50 del 1900 ho studiato missiologia, etnologia e islamistica all’Università Urbaniana; ho preso un diploma di tedesco in Austria e Germania e intervistato diversi missionari degli SVD (Società del Verbo Divino); poi ho fatto il Concilio Vaticano II come perito dell’Ad Gentes e giornalista dell’Osservatore Romano; e già durante il Vaticano II ho incominciato a visitare le missioni, anche in numerosi paesi islamici, in alcuni più d’una volta.
Ebbene, fino agli anni ‘80 del 1900, i rapporti dei cristiani con l’islam non rappresentavano un problema. Ad esempio, nessuno dei vescovi visitati e intervistati nell’Africa sotto il Sahara (del Sudan, Kenya, Uganda, Ciad, Tanzania, Burkina Faso, Ruanda, Congo ex-belga, Somalia, Etiopia, Sud Africa, Rhodesia, Swaziland, Mozambico, Angola), mi ha parlato di pericolo o di terrorismo islamico o di persecuzione contro i cristiani da parte dell’islam (eccetto il vescovo di Khartoum). Allora tutti temevano il “pericolo comunista”, infatti i vari partiti rivoluzionari collegati con Urss, Cina e Cuba, avevano assunto il potere con guerriglie o colpi di stato e distrutto l’economia e i servizi pubblici creati dalla colonizzazione.
Nel gennaio 1979 l’ayatollah Khomeini, applaudito dai mass media e dall’opinione pubblica occidentale, assume il potere in Iran, con una rivolta popolare guidata dal clero sciita, contro lo scià Reza Pahlavi, alleato degli Usa, che promuoveva la modernizzazione del paese. Inizia così la svolta radicale dell’islam in tutto il mondo. L’Iran diventa una repubblica islamica e Khomeini dichiara la guerra totale contro “il grande Satana” (gli Usa), il loro alleato Israele e l’Occidente cristiano. E rende attuale la tradizione sciita del “martirio per l’islam”, cioè il terrorismo di matrice islamica, che ha portato a poco a poco ai talebani e poi, con sigle diverse (Al-Qaida, Mujaheddin, Boko Haram, Shahab, Jihadisti, ecc.), al Califfato islamico, l’Isis (Islamic State Iraq and Siria).
Perché dico tutto questo? Papa Francesco, per sconfiggere il terrorismo, parla di “dialogo della vita” con i musulmani e non vuol sentire espressioni come “terrorismo islamico” o “guerra di religione”. E fa bene, perché l’alternativa del dialogo è l’odio, la violenza, la guerra. Una guerra totale, che sarebbe davvero la terza guerra mondiale, senza vincitori né vinti.
Papa Francesco ha dell’islam una visione positiva e anche qui fa bene. Se si pensa che l’islam è una religione falsa e demoniaca, nata per contrastare il cristianesimo e ammazzare i cristiani, nessun dialogo è possibile. Ma, in una visione alta della storia millenaria dell’umanità e dell’Alleanza con Dio, l’islam appare una religione provvidenziale. Vediamo. Tutti i popoli riconoscono e pregano Dio Creatore e Signore del creato. Quando nell’800 i primi etnologi sostenevano che i popoli primitivi non avevano il concetto di Dio, padre Wilhelm Schmidt (1868-1954), missionario SVD, insegnante all’Università di Vienna, fondatore della “Scuola di Vienna” di antropologia e della rivista “Anthropos”, promosse una vasta ricerca tra i missionari di ogni continente che vivevano fra i popoli “primitivi”.
La sua opera Der Ursprung der Gottesidee (L’origine dell’idea di Dio) ha dimostrato che tutti i popoli riconoscono e pregano Dio. Non esistono popoli atei. Più ancora, Schmidt afferma e dimostra che, più si indaga fra le popolazioni viventi in un’epoca preistorica, isolate dal resto del mondo (a quel tempo erano ancora molte) e più è chiaro che esse hanno “un originale monoteismo convinto”, che risale ai tempi della Creazione.
Poi i popoli si sono moltiplicati e diffusi nei vari continenti e sono nate molte immagini di Dio e molte religioni. Con una grande divisione: da un lato i popoli che hanno ricevuto la Rivelazione della Bibbia, caratterizzata dal monoteismo; e dall’altro i popoli che hanno avuto altre ispirazioni o rivelazioni dallo Spirito di Dio, che soffia dove e come vuole. I popoli monoteisti, ebrei (15 milioni), cristiani (2,1 miliardi) e musulmani (1,4), sono circa la metà dei 7 miliardi di uomini sulla terra. Questi tre popoli hanno una radice comune in Abramo, “il Padre della fede”, infatti nella Bibbia si trova l’espressione “Il popolo del Dio di Abramo” (esempio, nel Salmo 46). E se leggiamo la storia umana secondo i tempi di Dio (“Per Te, oh Dio, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato”) vediamo che il monoteismo si sta diffondendo gradualmente a tutta l’umanità. Il passaggio dal politeismo al monoteismo è fondamentale affinché tutti i popoli entrino nell’Alleanza con Dio.
In questa visione religiosa della storia umana risulta che “i popoli di Abramo” hanno una missione comune, pur essendo molto diversi l’uno dall’altro. Ebrei e musulmani credono e vivono la teocrazia: la società umana governata da Dio, secondo le Leggi di Dio; il potere religioso è anche politico; i cristiani distinguono fra religione e politica. Ecco in poche parole:
1) Ai tempi di Cristo i romani occupavano e colonizzavano la Terrasanta, proteggendo l’ordine pubblico e riscuotendo le tasse. Per tutto il resto, gli ebrei erano governati da Dio, rappresentato dal loro Sinedrio e secondo le Leggi date da Dio nei Dieci Comandamenti e nei tempi seguenti.
2) Per i musulmani, la teocrazia è ancor più evidente. Maometto era capo religioso, politico e militare e anche oggi la crisi che attraversano i popoli islamici è proprio questa: come distinguere il potere religioso da quello politico? Qui si apre il grande problema di come leggere e interpretare criticamente il Corano.
3) I cristiani seguono Gesù Cristo, che ha distinto chiaramente la religione dalla politica e ha fondato la sua Chiesa universale e libera da ogni autorità politica. Le Chiese che si sono separate dal Pontefice della Chiesa fondata da Cristo e affidata a Pietro, vescovo di Roma, sono oggi quasi tutte Chiese nazionali, sia nel campo ortodosso che protestante-anglicano.
4) Nel quadro della millenaria storia umana, le lotte e guerre fra le religioni monoteiste sono baruffe tra fratelli, che passano presto. Non minimizzo affatto l’isis e tutto l’estremismo di radice islamica. Noi ci siamo dentro, difendiamoci anche militarmente se necessario, facciamo leggi e controlli più severi, ecc.. Non parlo di questo, ma del fatto che l’islam ha già svolto nella storia, e svolge ancor oggi, una missione importante: ha diffuso il monoteismo nell’Asia profonda e soprattutto in India, da cui vengono induismo e buddismo, le due religioni dell’Asia (allo stesso modo, la Spagna ha diffuso il cattolicesimo nelle Filippine).
5) Un’ultima osservazione. Stupisce oggi, nei mass media e nei dibattiti in Tv, che quando si scrive o si parla del terrorismo di matrice islamica, si sviluppa ampiamente il racconto della gravità e crudeltà dei crimini che compiono i Jihadisti; ma quello che Papa Francesco propone, nei suoi discorsi e scritti (ad esempio i nn 250-254 della “Evangelii Gaudium”), e con la sua stessa vita, per prevenire e sconfiggere il terrorismo, è semplicemente ignorato, a volte anche sulla stampa e in siti internet cattolici. Noi, cristiani d’Occidente, dobbiamo interrogarci sulle nostre responsabilità. Il terrorismo non si sconfigge solo con le leggi, la vigilanza e la fermezza, ma aiutando i fratelli islamici a maturare una diversa visione del mondo moderno e accettando che essi contestino la nostra crisi religiosa.
La famosa tesi di Samuel Huntington, che alla “guerra fredda” sarebbe seguito uno “scontro di civiltà” (e quindi anche di religioni), è più credibile oggi che nel 1993. Il concetto di “missione”, un tempo inteso unicamente come “convertire i popoli a Cristo”, rimane sempre vero, ma dovrebbe assumere anche un senso nuovo e più attuale: gettare ponti di conoscenza, comprensione, dialogo, condivisione fra popoli e civiltà diverse. Il punto debole dei due mondi, cristiano e islamico, è che ci chiudiamo sempre più: passa ben poco da un mondo all’altro. Un missionario del Pime in Bangladesh mi dice: “Vedo citati poco, e malamente, studi e articoli occidentali da parte dei bengalesi; spesso solo frammenti di cui si riferisce per sostenere la propria tesi, piuttosto che analisi di ciò che si dice da parte degli altri. Un difetto analogo lo trovo in Italia: si conosce più di prima, ma è ancora troppo poco per capire ciò che matura ed emerge nel mondo islamico, in Asia”.
Questo chiama in causa i nostri teologi e intellettuali, i centri culturali, i mass media, le associazioni, le università, le scuole, ecc. All’inizio del 2000 sono nate nella Chiesa italiana due iniziative per far conoscere l’islam: l’agenzia Asia News nel 2003 e il Centro studi Oasis nel 2004: ambedue già affermate a livello internazionale e mondiale.
Il nostro è un tempo difficile ma affascinante. “Non abbiate paura!” diceva Giovanni Paolo II. Non possiamo più essere pessimisti. Però il futuro migliore dobbiamo costruirlo noi, ripartendo da Gesù Cristo, unico Salvatore dell’uomo. L’islam non è terrorismo. E’ anzitutto un problema culturale e religioso, che ci rivela la nostra crisi religiosa, di vita cristiana, di identità cristiana, di fede e appartenenza alla Chiesa. Altrimenti l’Occidente, la civiltà occidentale come la conosciamo noi oggi, è destinata a tramontare e sparire, come già sono tramontate la civiltà romana antica e tante altre, perché senz’anima. “L’Europa non si ama più – scriveva il card. Ratzinger, poco prima di diventare Papa Benedetto XVI – è una civiltà volta alla sua stessa distruzione”. Senza Gesù Cristo l’Europa è senza speranza, senza futuro. Tramonta per stanchezza e sazietà, soffocata dai beni materiali che produce.
Fonte: Piero Gheddo | LaNuovaBQ.it