“Il Papa si è schierato dalla parte dei migranti: è obbligato dal Vangelo a farlo”. Con queste parole il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, ha aperto la presentazione del 26° rapporto Caritas-Migrantes sull’immigrazione. “L’Italia di oggi e di domani o riuscirà ad essere diversa, capace cioè di nuovi incontri e relazioni, o rischierà di non avere futuro. L’incontro è la parola chiave che deve guidare le nostre comunità” è invece il monito di don Francesco Soddu, direttore della Caritas, e di mons. Giancarlo Perego, omologo di Migrantes, nell’introduzione del Rapporto. Il modello che indicano è quello della “convivialità delle differenze“, in cui soprattutto le nuove generazioni sono chiamate ad avere il ruolo di protagoniste. “La qualità non solo della democrazia, ma anche della comunione ecclesiale si misura – affermano – anche nella qualità della cittadinanza, come luogo di crescita del bene comune, da una parte, e della fraternità dall’altra”.
Nessuna invasione
Dopo la crisi del 2008 gli stranieri residenti nell’Unione Europea sono aumentati giungendo ad un totale di quasi 37 milioni (7,3% della popolazione). L’Italia non fa eccezione, ma i dati del dossier dimostrano che da noi si ha una percezione sbagliata del fenomeno. Non c’è in atto nessuna invasione: gli stranieri che arrivano (anche quelli che si riesce a savare in mare grazie a Dio, alla Guardia Costiera e alle Ong) sono per la stragrande maggioranza di passaggio. Al primo gennaio 2016, con un aumento di sole 1.217 unita’ (+0,03%) rispetto alla stessa data del 2015, risultano concessi 3.931.133 permessi di soggiorno, di cui il 48,7% riguarda le donne. Sono 1.681.169 quelli “con scadenza” (40,5%) e 2.338.435 quelli “di lungo periodo” (59,5%).
Oltre la metà dei migranti vive in 4 regioni
A inizio 2016, il 58,6% degli stranieri viveva nel Nord, il 25,4% nel Centro, il 15,9 al Sud. I permessi più numerosi riguardano il Marocco (13,0%), peraltro una delle comunità di più antica immigrazione in Italia, seguito dall’Albania (12,3%), dalla Cina (8,5%) e dall’Ucraina (6,1%). Queste nazionalità nell’insieme arrivano a quasi il 40% del totale dei permessi di soggiorno rilasciati. In tre regioni del Nord ed una del Centro è concentrata più della metà dell’intera popolazione straniera presente in Italia (56,2%). Si tratta di Lombardia (22,9%), Lazio (12,8%), Emilia Romagna (10,6%) e Veneto (9,9%). In Italia sono presenti 198 nazionalità, su un totale mondiale di 232 (fonte ONU), e dei cittadini stranieri presenti in Italia, oltre il 50% (oltre 2,6 milioni di individui) sono cittadini di un paese europeo. Poco più del 30% (1,5 milioni) sono cittadini di un paese dell’Unione. I gruppi, le cui quote sono più consistenti, sono i romeni (22,9%), gli albanesi (9,3%) e i marocchini (8,7%): nel complesso, queste tre nazionalità rappresentano il 40,9% del totale degli stranieri residenti. Al 31 dicembre 2015 su un totale di 178.035 acquisizioni di cittadinanza di stranieri residenti, 158.891 riguardano non comunitari residenti e 19.144 comunitari, con un aumento, rispetto alla stessa data del 2014, del 37,1%. Coloro che acquisiscono la cittadinanza per trasmissione dai genitori e coloro che, nati nel nostro Paese, al compimento del diciottesimo anno di età scelgono la cittadinanza italiana sono passati da circa 10 mila nel 2011 a oltre 66 mila nel 2015.
Matrimoni misti
I matrimoni in cui almeno uno dei due sposi è straniero sono stati circa 24.018, pari al 14,1% delle nozze celebrate, ma una parte del dato riguarda i matrimoni tra due stranieri celebrati in Italia. Quelli misti, infatti, sono stati circa 17.000. Gli uomini italiani che nel 2015 hanno sposato una cittadina straniera hanno nel 20% dei casi una moglie rumena, nel 12% un’ucraina e nel 6% una russa. Nel complesso, oltre una sposa straniera su due è cittadina di un paese dell’Est Europa. Le donne italiane che hanno sposato un cittadino straniero, invece, hanno scelto più spesso uomini provenienti dal Marocco (13%), dall’Albania (11%) e dalla Romania (6%). Complessivamente, in questo tipo di coppia, il 32% degli sposi è cittadino di un paese dell’Est Europa, il 27% di un paese africano.
L’istruzione
Nell’anno scolastico 2015/2016, gli alunni con cittadinanza non italiana nelle scuole sono 814.851, il 9,2% del totale degli alunni. Rispetto al 2013/2014, vi è stato un aumento di 664 unita’ (+0,1%). Gli alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia sono il 58,7% del totale degli alunni stranieri. I dati testimoniano un buon inserimento dei ragazzi stranieri nelle scuole italiane. Scelta più frequente dei licei da parte degli studenti stranieri nati in Italia (il 33,7% rispetto al 25% dei nati all’estero); per contro, coloro che sono nati all’estero propendono piu’ di frequente per gli istituti professionali.
Discriminazioni sul lavoro
Il Rapporto denuncia “il diverso modello di inserimento lavorativo degli stranieri rispetto agli italiani”. Questa “segregazione occupazionale” risulta ancora più evidente se si mette in relazione al genere. Le donne straniere, infatti, lavorano soprattutto nel settore dei servizi collettivi o alla persona, mentre gli uomini si concentrano nell’industria in senso stretto e nelle costruzioni.
Il nodo giustizia
Il rapporto affronta anche il problema giustizia. In generale, per gli stranieri vengono applicate raramente misure alternative al carcere. Sui detenuti stranieri pendono – secondo i dati della DIA – condanne soprattutto per reati contro il patrimonio (8.607). Seguono, poi, le imputazioni per violazione delle norme in materia di stupefacenti (6.922) e le condanne per i reati contro la persona (6.751). “Il crescente sentimento di insicurezza percepito nella società di oggi rende opportuno – si legge nel Rapporto Caritas Migrantes – trattare il concetto di devianza e la sua correlazione con le dipendenze, nuove e vecchie, con particolare riferimento all’incidenza di tali fenomeni tra la popolazione giovanile immigrata. Tra gli elementi di devianza si individuano: il fattore economico, con lavori spesso squalificati e squalificanti riservati agli immigrati in condizioni di sfruttamento e frustrazione delle aspettative che avevano indotto gli stessi a emigrare; la ghettizzazione di chi, per difficoltà economiche e di inserimento sociale, riesce a trovare alloggio solo in zone ai margini delle città, veri e propri ghetti ad alta conflittualità; l’aspetto culturale, in quanto i comportamenti devianti possono essere il risultato, anche come forma di protesta, di fronte al senso di sradicamento dalla cultura di origine e dal senso di imposizione di modelli culturali difformi dai propri, con conseguente smarrimento del senso di appartenenza e dell’identità”.
Ius soli
Non poteva mancare un riferimento al dibattito in corso sullo ius soli. “In una situazione di scarsa denatalità come quella italiana la legge sulla cittadinanza può aiutare. Che non vuol dire trasformare l’Italia in una popolazione di stranieri. È un impegno a riconoscere un diritto, che viene a sancire una realtà che già esiste” ha affermato il vescovo ausiliare di Roma mons. Guerino Di Tora, presidente della Fondazione Migrantes. “Siamo ad una settimana da un ballottaggio elettorale perciò il dibattito si è estremizzato, da una parte e dall’altra: c’è chi vuole difendere la legge e c’è chi la attacca per trovare maggiore credito tra i propri votanti. Ricordiamo che ‘ius soli’ significa dare la cittadinanza ai figli di chi è già in Italia in maniera regolare, viene da una famiglia in cui uno dei due coniugi è straniero, famiglie che lavorano e pagano le tasse. Vicino a questo c’è lo ‘ius culturae’ anche per chi non è nato in Italia ma ha frequentato un ciclo completo di studi. Lo ‘ius soli’ in tante altre nazioni è già riconosciuto”.
Fonte: Salvatore Caporale | InTerris.it