Cara Benedetta, la mattina del vostro matrimonio, alle 10, stavo ancora calcolando se avrei fatto in tempo a saltare su un treno, lasciare tutto, chiedere alla tata di venire a casa mia per una dozzina di ore (Guido doveva lavorare), scoprire che aveva da fare con la nipotina, cercarne un’altra, far arrabbiare mio marito, lasciare a tre quarti il cambio di stagione e la battaglia contro i tarli della credenza della cucina, coprire con un telo il chilometro quadrato di pentole abbandonato in salotto per pulire la credenza, mettere il vestito verde da cerimonia (non stirato), tirare fuori i sandali del mio matrimonio, ricoprire sommariamente le unghie dei piedi con uno strato di smalto nuovo sopra quello vecchio e partecipare almeno alla messa, per essere al vostro fianco in questo inizio di un’avventura che è cominciata e non finirà mai.
Alla fine, come sai, sono rimasta a casa, pensando continuamente a te e Federico, e anche a Raffaella e Andrea, don Vincent, Lucia, Simone e Maria, Giulia, Giuseppe e Monica, Benedetta, Giacomo, monsignor Negri e tutti gli innumerevoli amici che avrei voluto abbracciare. Sono rimasta soffrendo, in quella che è la tipica sofferenza femminile: quella di dover dire dei no a qualcosa per dire dei sì a qualcos’altro, anche quando il nostro cuore sanguina e vorrebbe dire tutti sì, e in questo caso un sì grosso come una casa.
Sono rimasta per custodire il mio matrimonio, un po’ tirato da tutte le parti per i miei impegni, che ci hanno regalato una rete ricchissima e meravigliosa di relazioni – di cui tu sei uno dei pezzi migliori – stupende ma impossibili da custodire tutte.
Sono rimasta per obbedire alla mia realtà (una serie di circostanze aveva convinto mio marito a non partire, e venire da sola a festeggiare un matrimonio non era una scelta da sposa).
Sono rimasta perché ho pensato che mi avresti perdonata, perché so che hai un cuore grande.
Sono rimasta perché ho pensato che il modo migliore per custodire il tuo matrimonio e quello delle persone care è stare nel mio, mettendolo prima di ogni altra scelta e relazione, comprese quelle con i figli.
Come sai (per “colpa” di don Vincent), ho cercato di starti vicina come potevo (don Vincent, non si fa la spia!) e continuerò a farlo quando sarete messi alla prova. Perché, ci puoi contare, succederà. Le cose di Dio funzionano così, vengono provate, a volte anche col fuoco. La tua, la vostra compagnia di amici ci sarà, e io con loro. Nessuno può essere lasciato solo a combattere, e tante coppie che abbandonano la trincea lo fanno perché sono rimaste sole al fronte. Tu invece hai un popolo, un intero popolo che ti sostiene e che ti ama. Nonostante questo, non dare per scontato che sarà facile. E quando dovrà scattare l’operazione Save Private Benedetta, io ci sarò. Sarò una delle tue tante sorelle, sarò “come muro di bronzo” – dice la Bibbia – davanti al nemico.
Ogni famiglia – una coppia aperta alla vita è già una famiglia – dovrebbe adottarne un’altra, perché è importante avere come famiglia altre famiglie intorno che ti dicono voi – non tu e Federico, ma proprio voi due, una carne sola – siete importanti per noi, ed è importante che siate sostenuti nella fatica, quando arriverà, e nella gioia, perché sia resa a sua volta feconda per altri,
Cara sorella, tutto quello che ho capito del matrimonio ho provato a scriverlo e tu già sai tutto. Non posso aggiungere molto, ma in questi anni che sono passati da quando ho scritto i libri sul tema ho provato a vivere quello che avevo scritto (si sa che nella Chiesa ci sono vari carismi, c’è chi predica e chi razzola: io avevo scelto di predicare ma mi sa che mi tocca anche un po’ razzolare, ogni tanto). E provando a vivere, la certezza che mi brilla sempre più chiara nel cuore è che c’è uno spazio di distanza tra gli sposi, quella distanza che probabilmente oggi non vedi, ma che ogni tanto si farà sentire, poco o molto. In quella distanza, in quello spazio a volte anche doloroso di incomprensione, o almeno di mancata simbiosi, di quella fusione a cui il nostro cuore tende, c’è la possibilità di dire un sì al Signore, con un cuore sempre più docile, come quello Immacolato di Maria che oggi festeggiamo, a te tanto caro. Cuore immacolato vuol dire cuore che non spera niente per sé, capace di aderire totalmente alla volontà di un altro. La volontà di Dio è che tu cerchi di fare quella di Federico.
Forse dovrei dire qualcosa anche a tuo marito, ma come sai non ho ancora avuto tempo di conoscerlo (quando l’ho visto non eravate ancora “morosati”, come dici tu, quindi non l’ho scannerizzato). Inoltre non parlo il linguaggio dei maschi, e temo di doverci rinunciare, non avendolo imparato in venti anni. Ma soprattutto, cara sorella, io penso che la temperatura, il livello di un matrimonio sia dato dal livello spirituale della donna, perché Dio affida l’umanità alla donna. Dio affida Federico a te, e so che non poteva trovare di meglio. Quindi questa lettera, che è anche per lui, l’ho scritta pensando soprattutto te mia dolce, combattiva, ardente amica, sorella minore di età, maggiore nella fede. Ti auguro buon cammino e non vedo l’ora di abbracciarti!
Fonte: CostanzaMiriano.it