Belle donne: tre sante raccontate con il “sapore buono” dei testi e musiche originali
— 29 Giugno 2017 — pubblicato da Redazione. —Il compito principale delle donne è la bellezza. È l’esigenza di bellezza che incalza le donne affinché riparino la vita, organizzino lo spazio, curino la fragilità che si trovino intorno. È un bisogno che va molto oltre – ma non prescinde da – il bisogno di essere belle allo sguardo, e di generare bellezza. La donna è definita dal suo vuoto, dal suo spazio, dalla sua fragilità, dal suo bisogno, dal suo utero, inteso come spazio interiore per fare spazio alla vita. Ha bisogno che questo spazio sia colmato di bellezza, è il suo vuoto che la rende affamata. La donna ha bisogno di piacere a un altro. E quello che definisce una donna, quello che ci dice che donne siamo, è proprio la risposta che decidiamo di dare alla domanda “a chi voglio piacere io?”
Non ci credo, io, quando le femministe o le loro inconsapevoli eredi affermano la propria autonomia, l’indipendenza dal bisogno di piacere. Tutte, più o meno consapevolmente, cerchiamo di piacere a qualcuno, e tutte scegliamo in qualche modo a chi piacere. Molte vogliono piacere a tutti. Alcune solo a un uomo, altre magari non rinunciano mai neanche da adulte a piacere al padre o alla madre. Le sante sono donne che hanno scelto di piacere a Dio, e che hanno trovato in lui la loro bellezza.
Ildegarda di Bingen, Giovanna d’Arco e Edith Stein, poi, erano anche donne bellissime, fisicamente, letteralmente. Per questo trovo perfetto il titolo scelto per la serie delle tre piece teatrali che verranno rappresentate il 5, 6 e 7 luglio nell’Oratorio del Borromini, aperto per l’occasione a Chiesa Nuova. Tre attrici e un attore (chiediamo le quote azzurre) racconteranno tre sante strepitose con le loro stesse parole, quelle dei testi originali – l’adattamento è curato da padre Ivan Quintavalle, che fino all’ultimo ha tentato di fare finta di niente, ma il suo nome lo dobbiamo proprio fare. Grazie al suo genio – nel vero senso della parola – totalmente fuori dalla norma (quando faccio una domanda a padre Ivan mi risponde quasi sempre il contrario di quello che mi aspetto) finalmente tre sante saranno raccontate non coi colori dolciastri dei santini, ma con il sapore buono dei testi originali, con musiche tutt’altro che “da parrocchia” (gli autori della musica sono la stessa santa Ildegarda, Franco Battiato, Jury camisasca, Arvo Part e Csi) che accompagneranno la messa in scena delle loro vite.
Effettivamente l’agiografia media è veramente assurda: ti fa venire voglia di tutto tranne che di somigliare a quelle persone, che invece sono i soli vincenti della storia, i soli felici, quelli che hanno realizzato totalmente le proprie potenzialità. Un mio amico sacerdote dice che gli artisti ritraevano i santi in modo così brutto e triste per vendicarsi dei committenti, che spesso non pagavano. Forse invece erano solo tentati dal demonio, perché raccontare bene la santità è qualcosa che ha un potenziale esplosivo, ed è contagioso. I santi sono la Bibbia incarnata. “Ho cercato di riattualizzare quello che faceva san Filippo con l’oratorio, raccontare la vita dei santi in parole e musica ma in forma contemporanea e con i mezzi che ci sono a disposizione oggi” – dice padre Ivan. Queste tre donne, per esempio, hanno moltissimo da dire alle donne di oggi, che ancora cercano la propria emancipazione, e fanno quasi tenerezza con i loro goffi tentativi, con il loro cercare attenzione e potere nei posti sbagliati, quando invece tutto quello che cercano è amore, e c’è uno, anzi Uno, pronto a darglielo. “Ci troviamo di fronte a tre donne che hanno rinunciato a se stesse – cioè a obbedire alla propria logica, ad ascoltare il proprio mondo interiore – per seguire Cristo fino alle estreme conseguenze, soprattutto Edith e Giovanna.
Giovanna ha rinunciato alla sua propria femminilità visibile, restando femminile contro i costumi dell’epoca, per mantenere la purezza e continuare a svolgere la missione che Dio le aveva affidato. L’unico capo di accusa che poterono trovare contro di lei fu proprio il fatto che si vestisse da uomo, ma lei lo fece per essere fedele alla sua chiamata, emancipandosi quindi dal mondo.
Edith invece ha fatto una grossa lotta con le proprie radici ebraiche, con la madre, i suoi maestri di filosofia. Ha rinunciato a tutto questo per sentirsi completamente in Cristo. Anzi, le sue radici in lui si compiono: lei trovava la completezza della propria ebraicità nel battesimo. Ad Auschwitz portò la sorella con sé dicendo: “andiamo, per il nostro popolo”. L’adesione a Cristo lei l’ha vissuta come compimento del cammino del popolo d’Israele. “Per me senza Cristo la fede dei miei padri è morta”, diceva, con una lucidità e un coraggio impressionanti in chi viene da radici così forti.
Quanto a Ildegarda, di lei colpisce il fatto che questa grande monaca soffriva nella carne i patimenti di Cristo (era anche nata malaticcia). Era una mente notevolissima: matematica, musicologa, farmacista, erborista, quasi medico possiamo dire, però nello stesso momento è stata una grandissima mistica. Ildegarda aveva capito che la fede non si oppone mai all’intelligenza, ma anzi permette all’intelligenza di superare se stessa.
Il loro modo di affermarsi pienamente, di essere feconde, ha seguito la logica contraria a quella delle rivendicazioni femministe. Arrivano a rinnegare se stesse dopo tantissimi sacrifici e tantissime tentazioni, e dopo essere state molto provate anche nella fede”.
Chiedo a padre Ivan se vuole fare innamorare le donne che andranno a vedere lo spettacolo di una bellezza più alta e più grande. Come sempre mi succede con lui, ho sbagliato domanda. “Non voglio fare innamorare nessuno. Sono tre profili di donne estremamente disturbanti. Voglio sottolineare che queste donne sono veramente emancipate, ma nell’unica emancipazione possibile, quella dal mondo. Nei passaggi della loro vita si capisce la presenza reale di Cristo”.
Ma allora perché il titolo, Belle donne? “Erano effettivamente belle. Facevano innamorare. Ildegarda era famosa perché teneva alla sua bellezza e voleva lo stesso dalle sue monache. Soprattutto grande bellezza interiore, partecipavano della grande bellezza di Cristo, per questo le persone le vedevano belle”.
È ripercorribile oggi la loro strada? “Se rinunciamo a ripercorrere la loro strada rinunciamo alla santità, se rinunciamo alla santità, rinunciamo a Cristo. Queste donne hanno prestato il loro corpo e la loro anima a Dio, noi invece spesso prendiamo in prestito Dio per metterlo al servizio nostro”.
Note tecniche: le serate cominciano alle 21.15, ma i posti sono limitati. Si potrà entrare dalle 20.30 da Piazza della Chiesa Nuova 18. Non ci sono biglietti da comprare ma si potrà lasciare un’offerta. Bisogna ringraziare la Congregazione dell’Oratorio di san Filippo Neri e l’associazione Oratorium per questa bomba di bellezza che esploderà nel cuore di Roma.
Fonte: CostanzaMiriano.it