La denuncia dello psichiatra Boudewijn Chabot, uno dei padri della legge: le regole sono aggirate, ripensiamoci
Ha fatto rumore in Olanda nei giorni scorsi la pubblicazione sull’autorevole quotidiano Nrc di una lunga lettera aperta dello psichiatra Boudewijn Chabot (76 anni) in cui critica la legge sull’eutanasia (in vigore dal 2002 ) perché «non protegge abbastanza i malati affetti da demenza e problemi psichiatrici». Parole che hanno suscitato scalpore nel Paese, soprattutto ricordando che fu proprio lui, dieci anni prima, a praticare il suicidio assistito a una sua paziente di 50 anni, sana, tramite una bevanda con una sostanza letale. La donna, che aveva perso due figli, più volte aveva manifestato il desiderio di morire. Subito dopo la morte della donna cui aveva prestato la sua collaborazione attiva Chabot si autodenunciò, e fu rinviato a giudizio. La sentenza che scaturì dal processo fu di colpevolezza ma non gli fu comminata alcuna pena. In seguito fu sempre lo psichiatra a pubblicare libri e un video con i consigli su come portare a termine l’atto di togliersi la vita nel modo meno cruento e più indolore possibile. Oggi Boudewijn Chabot riafferma la sua convinzione per l’autodeterminazione del paziente ma ritiene che l’eutanasia all’olandese cominci a fare acqua. «Quando la legge entrò in vigore – spiega – eravamo tutti contenti, soprattutto i suoi autori. Ma adesso la mia domanda è: lo siamo ancora? A distanza di anni la mia risposta è no». Chabot invita aconsiderare «i tre punti fondamentali della legge: 1) il paziente deve esprimere il suo volere nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali; 2) deve soffrire di un dolore insopportabile e incurabile; 3) l’eutanasia gli deve essere applicata quando non ci sono altre alternative possibili. La seconda e la terza – spiega – sono strettamente legate fra di loro: quindi, considerata la possibilità di cure palliative che possono lenire il dolore, una volta iniziate il medico non può più considerare tale dolore insopportabile. A maggior ragione non è poi così insopportabile se il paziente stesso le rifiuta; quindi, a rigor di logica, anche l’eutanasia gli andrebbe negata». Il punto più importante secondo il medico «è che la legge non esclude disturbi legati a patologie del cervello» mentre l’eutanasia oggi «viene applicata a dementi e malati psichici cronici». Un fatto che, dice Chabot, «mi preoccupa molto, oltre all’aumento in generale dei casi di eutanasia nel corso degli ultimi anni».
È vero che nei dati ufficiali più volte ricordati su queste pagine i casi di eutanasia per malati di Alzheimer, dementi e depressi costituiscono una «piccola percentuale », argomento al quale Chabot replica chiedendo di fare «attenzione alla crescita delle malattie che colpiscono il cervello», con pazienti dei quali «non si può certo dire che ci sia possibilità di guarigione». Ciò fa temere allo psichiatra olandese che «questi casi di eutanasia in futuro potrebbero lievitare, colpendo proprio i pazienti più indifesi einermi, aumentando continuamente e minando silenziosamente le basi della legge». A sostegno delle sue considerazioni Chabot cita il caso della «Clinica per la fine della vita», alla quale «si rivolgono i pazienti la cui domanda di eutanasia è stata respinta perché non a norma di legge». Nel 2016 – ricorda il medico – «sono stati 40 i medici che vi hanno praticato l’eutanasia, in 498 casi. In media 12 volte per medico, una al mese. E cosa pensate che avvenga nella mente di un medico per cui questa pratica diventa quasi la normalità?». Una situazione analoga, a parere di Chabot, alla «legge sull’aborto, passata la quale non si è più tenuto conto di proposte alternative, come invece dovrebbe accadere, a livello morale».
Qui le argomentazioni del noto clinico si fanno incalzanti, con una nota di amara ironia: «L’Olanda – scriva – è molto creativa quando si tratta di mettere in atto una legge. Però accade spesso, nel corso degli anni, che perda il filo…». La prova è presto detta: «Come si può parlare di sofferenza insopportabile per un paziente demente? Noi psichiatri sappiamo che è difficilissimo sostenerlo». Il caso che riferisce Chabot fa riflettere: «Nel 2012 un marito fece mangiare alla moglie demente, prima che il medico iniziasse la procedura di eutanasia, una specie di pappa contenente sonniferi. La donna quindi non era più lucida e consenziente al momento in cui veniva ‘preparata’ per essere uccisa. Non poteva più cambiare idea…». Un caso che «non trovo nelle segnalazioni della Commissione di controllo incaricata di giudicare se l’eutanasia è stata compita a norma di legge ». Quindi «un essere umano è stato ucciso ‘a sua insaputa’, senza che potesse capire che cosa gli stava succedendo. Ecco cosa è andato storto nell’applicazione della legge. Non c’è sufficiente protezione per questa categoria di pazienti».
Proprio per questo in febbraio Chabot, insieme a Jaap Schuurmans, presidente dell’Associazione per le cure palliative, ha lanciato una petizione perché i medici si rifiutino di applicare l’eutanasia a malati che invece andrebbero tutelati, ativandosi inoltre per un ricorso maggiore alle cure palliative» per «rendere la vita di chi soffre, soprattutto in solitudine, meno penosa e più serena nel suo naturale percorso finale».
Fonte: Maria Cristina Giongo | Avvenire.it