Il tremendo anniversario della prima donna cristiana condannata alla pena capitale per blasfemia. Il processo alla Corte suprema per scagionarla non viene fissato
Asia Bibi trascorre oggi il giorno numero 3.000 della sua odissea carceraria senza vedere una luce in fondo al suo tunnel di vicissitudini giudiziarie, prigionia, frustrazione ma illuminato finora anche da fede e coraggio esemplari. Vissuti in detenzione nel carcere femminile di Multan, dove è rinchiusa dal giugno 2013, dopo essere stata “ospite” di quelle di Nankana Sahib e Sheikhupura dall’arresto nel giugno 2009. Vittima di accuse pretestuose di oltraggio all’islam avanzate da conoscenti musulmane dello stesso villaggio in cui la mamma cattolica di cinque figli viveva.
In un significativo intreccio di vite e azioni, impegnato a ottenere dalla Corte Suprema il verdetto finale che probabilmente garantirebbe alla sua assistita (prima donna condannata alla pena capitale per blasfemia) la libertà, è l’avvocato Saif ul Malook. Il musulmano Malook ha avuto un ruolo essenziale nel portare al patibolo, correndo gravi rischi, Mumtaz Qadri, l’estremista islamico e assassino del governatore della provincia del Punjab Salman Taseer, il politico che aveva sostenuto pubblicamente l’innocenza di Asia Bibi incontrandola anche in carcere. «Solo la sua famiglia o un difensore possono entrare nella sua cella e così io e Ashiq (il marito della donna) siamo andati insieme a visitarla. I detenuti del braccio della morte sono in isolamento in celle di 2,5 metri per tre. Ve ne sono tre nella prigione, di cui solo una occupata. Le è stata messa a disposizione un’attendente che resta all’esterno della cella. Mi è sembrata in buone condizioni e di atteggiamento normale – dice convinto –, ma non le ho chiesto comunque del suo stato di salute».
Malook si dice convinto che, a parte l’ovvia e immensa prostrazione per la detenzione, isolamento e lontananza dalla famiglia a sua volta costretta alla clandestinità, le condizioni di Asia Bibi restino buone: «Asia ha negato con fermezza di avere sofferto di gravi patologie durante la carcerazione e mostra ancora fiducia e gioia all’idea di potere essere presto scarcerata», ha ribadito l’avvocato, che ha tranquillizzato anche sulla sicurezza garantita alla prigioniera, guardata a vista da sorveglianti donne. Una versione che diverge però da altre che in passato, soprattutto di Ong, sostengono che la donna stia comunque soffrendo anche fisicamente la lunghissima detenzione.
A portare la 50enne cattolica a diventare simbolo e vittima suo malgrado, una serie di cause. L’accanimento evidente dell’estremismo islamico nei suoi confronti ha propiziato la condanna a morte in primo e secondo grado. Situazione estrema che ha spinto a intervenire a suo favore prima il musulmano laicista Taseer, poi il ministro per le Minoranze, il cattolico Shahbaz Bhatti. Entrambi assassinati, rispettivamente il 4 gennaio e il 2 marzo 2011. Eventi che hanno ancor più attirato su di lei l’attenzione internazionale e incentivato pressioni sul governo pachistano. Il processo, la condanna a morte e il 29 febbraio 2016 l’esecuzione di Mumtaz Qadri, guardia del corpo e killer di Bhatti hanno creato per l’estremismo religioso un «martire» inevitabilmente ponendo Asia Bibi – nel frattempo consegnata ancora al braccio della morte da una sentenza dell’Alta Corte di Lahore nell’ottobre 2014 con l’esecuzione sospesa successivamente dalla Corte Suprema – nella condizione di “catalizzatore” della volontà di vendetta da parte degli estremisti.
L’eventualità di una reazione organizzata nel caso della sua liberazione e probabilmente di un esilio immediato, è sicuramente più temibile per il governo delle pressioni internazionali che chiedono giustizia per la donna. Una sommossa anti-governativa porterebbe – sostengono diversi osservatori laici – tra l’altro al blocco del debole tentativo chiesto da più parti e accolto dalla politica nazionale di individuare una evoluzione della legislazione posta a tutela della fede islamica ma che, alla fine, è il punto di partenza della disgraziata vicenda di Asia Bibi e di centinaia di altri. Il caso di Asia Bibi ha assunto comunque una connotazioone globale.
In Gran Bretagna, Francia e Italia ci sono state ampie mobilitazioni. E anche ieri l’ex premier e segretario del Pd Matteo Renzi l’ha ricordato. «Non dimentico Asia Bibi e non permetto che la violenza che ogni istante le viene perpetrata impedendole la libertà divenga una cosa normale nel dibattito pubblico mondiale. Lottare per la libertà religiosa – ha detto – è o dovrebbe essere un valore di tutti gli uomini di buona volontà, nessuno escluso. Noi, nel nostro piccolo, ci siamo».
Oggi però in Pakistan il percorso della giustizia nei casi di blasfemia è lento e sovente dà poche garanzie a chi si trova già in condizioni normali di debolezza o emarginazione. Sempre presente è il rischio di essere assassinati sotto custodia o addirittura dopo una sentenza di innocenza, come avvenuto sulle scalinate di alcuni tribunali pachistani al termine della lettura della sentenza di assoluzione. Attivisti calcolano in un’ottantina gli individui accusati di blasfemia assassinati nel tempo, mentre decine subiscono la detenzione dovendosi guardare le spalle insieme da un sistema giudiziario e carcerario ostile e da potenziali sicari motivati da fanatismo o denaro.
Se quello di Asia Bibi è un “caso limite” per accanimento e per notorietà, va ricordato che Ranjha Masih, che trascinava il suo piccolo commercio di ambulante sugli autobus della sua Faisalabad, ha trascorso quasi nove anni dietro le sbarre prima di potere dimostrare la sua innocenza in una vicenda giudiziaria avviata nel 1998 e essere liberato nel novembre 2012. All’altro estremo, il caso di Rimsha Masih, minorenne con problemi psichici, liberata dai giudici di prima istanza a pochi giorni dall’arresto nell’agosto 2012 per l’inconsistenza delle prove proposte dagli accusatori, a loro volta finiti sotto giudizio. La sua innocenza è stata confermata dalla Corte suprema nel gennaio successivo ma due mesi dopo Rimsha è riparata in Canada con la famiglia per evitare ritorsioni. Quelle ritorsioni che hanno costretto nel settembre 2016 all’abbandono della difesa di Asia Bibi e alla fuga all’estero un noto legale cristiano, Sardar Mushtaq Gill, e dall’inizio dell’anno al sostanziale blocco delle attività per motivi di sicurezza dell’associazione da lui fondata, la Lead (Legal Evangelical Association Development).
Fonte: Stefano Vecchia | Avvenire.it