“Quale felicità cerco oggi? Dove e come la trovo?”: queste sono le domande che assillano ognuno di noi giovani, in modo latente o esplicito, a volte rimanendo senza risposta. È difficile per noi associare la felicità a quella “gioia piena” a cui il Signore ci chiama, eppure ogni piccolo sogno, ogni desiderio di stabilità affettiva, di realizzazione personale ci chiama a interrogarci sul “di più” che nella vita ricerchiamo.
Il Sinodo che si terrà nel 2018 vuole essere il mezzo attraverso cui la Chiesa si avvicina sempre più ai giovani, proponendo come tema – caldissimo – quello del discernimento vocazionale. Anche il settore giovani di Azione Cattolica, durante i campi nazionali che si sono tenuti quest’anno ad Anagni (27-30 luglio) e Fognano (4-7 agosto), ha suggerito a oltre duecento giovani percorsi di discernimento sia personale che comunitario: riflessioni che abbiamo accolto con entusiasmo, proprio perché nodo centrale della nostra vita, spesso bombardati da mille possibilità e dunque spaesati in un mondo che non ha tempo per “elogiare la lentezza” del processo di discernimento.
Perché riconoscere, interpretare, scegliere – i tre verbi suggeriti da Papa Francesco in Evangelii Gaudium per un buon discernimento vocazionale – è un compito che richiede tempo e silenzio, oltre a una guida spirituale, che permette di saper leggere la propria vita anche attraverso uno sguardo “altro”. L’AC ha voluto quindi ritagliarsi del tempo per capire cosa vuol dire oggi fare discernimento partendo dalla figura di Sant’Ignazio, e ricordando a noi soci che esso non consiste nel decidere tra il bene e il male, ma tra il bene e il meglio, nell’esaminare le motivazioni profonde per cui facciamo una determinata scelta.
Bisogna dunque rileggere la nostra vita anche attraverso le emozioni che proviamo: passaggio delicato ma necessario, che ci obbliga ad abitare le nostre emozioni non sminuendole a semplici impulsi momentanei ma dando loro significato attraverso una progettualità di vita. Inoltre, insieme alle mattinate di riflessione guidate da padre Ugo Bianchi e don Vito Piccinonna, abbiamo proposto una modalità concreta per fare discernimento, pensata per l’associazione da Giovanni Grandi, professore di Filosofia Morale presso l’Università degli Studi di Padova. Essa comprendeva un momento di riflessione personale guidata e poi sintetizzata attraverso una parola-chiave – step essenziale per fare sintesi sulla propria vita – da riportare nei gruppi di studio, aprendo dunque un dialogo comune capace di far emergere i bisogni ed i sentiti più diffusi, per poi valutare insieme strategie e soluzioni.
Ciò ha permesso di coniugare il discernimento personale con quello comunitario e di allargare il confronto dalle tematiche associative alla vita dei soci. È emerso che, oltre alle tendenze generali, dobbiamo considerare, nel discernimento comunitario, anche le necessità dei singoli, perché la valutazione non si appiattisca sui bisogni della maggioranza. Tuttavia, affinché ci sia un equilibrio tra le necessità personali e comunitarie, non possiamo fare a meno di tenere in considerazione le sfumature, oltre ai bianchi e i neri della vita, come ci ha ricordato il Papa durante l’Assemblea Generale dell’Unione dei Superiori Generali lo scorso 25 novembre: “Ciò che conta è la vita, non le formule […]. La logica del bianco e nero può portare all’astrazione casuistica. Invece il discernimento è andare avanti nel grigio della vita secondo la volontà di Dio. E la volontà di Dio si cerca secondo la vera dottrina del Vangelo e non nel fissismo di una dottrina astratta”. Questo è quello che vogliamo come giovani e che il Sinodo desidera promuovere: un discernimento che chiama tutti, nessuno escluso, a realizzare attraverso il proprio contributo il progetto di Dio sulle nostre vite. Animati dalla convinzione “che lo Spirito di Dio agisce nel cuore di ogni uomo e di ogni donna”, e dunque non solo dei credenti – come ci ricorda il Documento preparatorio del Sinodo –, possiamo scommettere sulla bellezza di questa sfida: sognare un mondo in cui il discernimento divenga la nuova “grammatica dell’umano”, consapevoli che esso richiede la fatica del silenzio e della scelta in una società che ci vuole sempre più passivi.
Luisa Alfarano, Michele Tridente, don Tony Drazza