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Perché la libertà di scelta educativa non è ancora garantita?
— 27 Settembre 2017— pubblicato da Redazione. —
La scuola italiana, dalle materne alle superiori, è frequentata in Italia da 8.826.893 studenti, 1.109.585 dei quali frequentano scuole non statali, cioè non gestite dallo Stato, ma che dallo Stato sono controllate e riconosciute come luoghi di istruzione pubblici in base alla legge 62 del 2000. Per garantire l’istruzione a tutti, lo Stato ha stanziato nell’anno scolastico 2015/2016 49 miliardi e 418 milioni di euro per la scuola statale e 499 milioni per quella paritaria. Proprio per quest’ultima, però, sono via via diminuiti gli stanziamenti: sono passati da 530 milioni nell’anno scolastico 2006/2007 a 499 milioni nell’anno scolastico 2015/2016. Significa che ogni studente delle scuole statali riceve in finanziamenti, dallo Stato centrale, 6.403,52 euro solo di spese correnti. La cifra aumenta di molto se si considerano i finanziamenti degli enti locali.
La soluzione? Un modo per sostenere economicamente l’educazione di tutti i ragazzi – sia di quelli che desiderano iscriversi nella scuola pubblica paritaria che di quelli che scelgono la scuola pubblica statale – e allo stesso tempo far risparmiare risorse allo Stato c’è e sta nella definizione del costo standard di sostenibilità per allievo, applicabile ugualmente a tutte le scuole pubbliche, paritarie e statali.
La cultura crea indipendenza. Ma questa fa paura a quei soggetti che si difendono ripetendo come un pappagallo “Ma senza oneri per lo stao”
Ma come si concilia la proposta del costo standard con l’art. 33, comma 3 della Costituzione italiana, secondo cui “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato“? In realtà, la proposta non comporta alcun onere per lo Stato (che attualmente risparmia più di 6 miliardi di euro annui per merito delle scuole paritarie), ma mira a garantire il diritto alla libertà di scelta educativa, riconosciuto peraltro dall’art. 30 della Costituzione stessa: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”. L’iniziativa delle famiglie non costituirebbe affatto un onere, ma semmai un risparmio per lo Stato. Infatti, l’emendamento “senza oneri” riguarda l’istituzione di scuole, non il diritto della persona all’educazione né il diritto dei genitori di educare i figli (diritti che la Repubblica deve riconoscere e garantire): i suoi stessi proponenti, il socialista Codignola e il liberale Corbino, dissero in Costituente che andava interpretato nel senso di un blocco solo selettivo dei finanziamenti alle scuole non statali. Ma il blocco finì per essere totale.
L’equivoco sul “senza oneri”, dunque, protrae un’ingiustizia storica, rendendone più difficile la soluzione. Esso equivale a confondere il fine dell’educazione con i suoi mezzi, che sono le scuole. Dobbiamo evidenziarlo: troppi persistono in una visione filosofica per cui la persona e l’educazione sono funzionali allo Stato, che, attraverso le scuole, intenderebbe “rieducare gli italiani, troppo condizionati dalla Chiesa Cattolica”… e quindi inquadrarli in una scuola di regime.
Invece, soltanto rimuovendo l’apparente contraddizione tra l’art. 30 e il 33 si potrebbe dar luogo a una concorrenza virtuosa tra la scuola statale e quella degli “enti e privati” (tra cui i Comuni) che volessero provvedere a istituire scuole al di fuori dell’offerta statale. E si recupererebbe forse il significato originario dello stesso emendamento “senza oneri”, che era finalizzato a impedire il finanziamento automatico delle scuole a gestione non statale, non quello selettivo di quelle scuole che dimostrassero di meritarlo, come le “scuole dei Salesiani”, che risultano citate dai verbali dell’epoca a questo proposito.
Se in Italia è stato già applicato, per quanto in modo imperfetto, il sistema del costo standard per persona alla sanità, perché non si può introdurre anche con la scuola?
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