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Fede Vs Ragione? Dan Brown è un furbo, ma noi non siamo scemi…
— 21 Giugno 2018— pubblicato da Redazione. —
Viene pubblicato Origin, quarto libro del romanziere del Codice da Vinci, più di 200 milioni di copie vendute nel mondo. In una conferenza stampa romana lo scrittore sciorina una serie di banali assurdità sul cristianesimo. Si impongono dunque alcune precisazioni.
Va benissimo, non c’è problema: «Ognuno ha diritto di vivere / come può», cantava Caterina Caselli, e vendere storie inventate è un mestiere come un altro. Difficile dare dello stupido a uno che sia riuscito a farlo, come Dan Brown, in un momento come quello attuale, per giunta, in cui praticamente solo gli editori riescono a vivere di libri (neanche più largamente come un tempo).
Sempre Caterina Caselli però, dall’alto dei suoi raggianti anni ’60, tuttora pontifica: «La verità ti fa male, lo so». E Dan Brown dovrebbe sempre tenere a mente la propria identità e il proprio lavoro, che è appunto quello di vendere storie inventate. Non c’è nulla di male: da Omero in qua, ci abbiamo costruito intere civiltà con gli aedi (certo, c’erano aedi ciechi che però ci vedevano e aedi ciechi che però non ci vedono: i primi dischiudono nuovi mondi, i secondi si riempiono la pancia). Non c’è nulla di male ma questo è quanto: Dan Brown vende storie inventate – dichiarato parto della propria immaginazione.
Dunque non si spiega come in una recente intervista lo stesso scrittore – dopo aver compiuto gli ormai rituali pubblici insulti al proprio presidente – abbia potuto dichiarare che fra poco anche il Dio cristiano sarà relegato nei miti.
Perbacco! E ce lo dice così? Mi ha ricordato il delirio dello sciamano di Kali ne Indiana Jones e il tempio maledetto. Al fascinoso archeologo, che stava per essere drogato con una pozione a base di “sangue di Kali”, lo stregone diceva infatti:
– Presto avremo di nuovo le cinque sacre pietre di Shankara e i Tûk saranno di nuovo potentissimi.
– Certo che ce ne hai parecchia, di immaginazione!
– Tu non mi credi? Mi crederai, dr. Jones. Diventerai presto molto più fanatico di noi. […] Gli inglesi in India saranno trucidati. Allora domineremo i musulmani. Anche il Dio degli ebrei cadrà, e il Dio dei cristiani sarà dimenticato. Presto sarà Kalì a dominare il mondo…
E sì, salvo che quanto a trucco e parrucco Dan Brown si è presentato alla conferenza stampa in una mise molto meno pittoresca di quella dello sciamano di George Lucas, si direbbe che certe dichiarazioni abbiano attinto a piene mani alla fantasia dello sceneggiatore connazionale: dal punto di vista epistemologico la frase “presto sarà la scienza a dominare il mondo” ha lo stesso identico significato di “presto sarà Kalì a dominare il mondo”.
E non sembri irriguardoso il rispondere a Dan Brown rifacendosi alle sceneggiature di George Lucas: un’affermazione come la sua potrebbe essere sepolta da miriadi di argomenti, di autorità, di testimonianze – perché miriadi sono le scienze e le arti, dalla fisica alla chimica, dalla biologia alla medicina, dalla musica alla matematica – che costellano il firmamento della ragione umana di modo che si capisce perché il salmista abbia scritto:
I cieli narrano la gloria di Dio
e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento.
Sal 18 (19), 1
E si capisce perché non solo san Tommaso (roba vecchia, dirà Brown – che in effetti è l’ultimo arrivato) vi riconoscesse l’attestazione del legame tra il mondo e il suo Creatore, ma perché secoli dopo Franz Joseph Haydn abbia tanto maestosamente musicato il testo di quel salmo, tradotto in tedesco, attribuendone i gagliardi rombi ai cori degli arcangeli.
Ma possiamo davvero rispondere alla vacuità delle affermazioni di Brown impegnando le parole di Guglielmo Marconi, che nel mare dell’etere – pieno di Dio – vaticinava e costruiva, come un novello Mosè, il passaggio delle onde radio che portassero in tutto il mondo le parole apostoliche di Pio XI? Davvero ha senso citare l’oratorio Die Schöpfung di Haydn quando Brown ci ha rivelato che suo fratello avrebbe musicalmente demolito la creazione?
mio fratello minore, musicista, ha composto una Charles Darwin Missa che nei modi delle messe solenni cristiane esaltava l’insegnamento dello scienziato che aveva cancellato l’idea della creazione.
Aspetterei volentieri trecento anni seduto su questa sedia per chiedere a qualche passante, dopo l’ennesima rappresentazione della Schöpfung, se abbia mai sentito parlare di una Charles Darwin Missa, ma spero di essere affaccendato in cose più gradevoli, per quella data. L’unica cosa che da una tanto sciocca tracotanza torna confermata è ciò che potremmo chiamare “il teorema di Comte” – dal nome dello scienziato positivista francese che per combattere Dio e la Chiesa costruì una propria religione e una propria gerarchia prostrati all’idolo muto della propria “ragione” –: tutto quanto appare grande negli scritti che attaccano la fede cristiana deve questa pura impressione proprio al rivestire simulacri di ciò che attaccano.
Clive Staples Lewis smise presto di stressare il genere di Berlicche (anche se si era rivelato fortunatissimo sia con le Lettere sia con il Brindisi) spiegando la ragione della sua scelta in questi termini: non v’era in quei testi alcunché di veramente geniale, poiché mutuavano la loro gradevolezza dal facile espediente dell’antifrasi e dalla verità della fede cristiana che traspariva in filigrana. Quanto alle parole stesse, vergate in simulato odio al cristianesimo e al suo Fondatore, nulla di davvero grande risplendeva in esse.
E chiedo scusa se vengo meno al criterio proposto, cioè quello di non scomodare “autori serii” per rispondere a Dan Brown: mi sono concesso una parziale eccezione con Lewis proprio perché anche lui era un romanziere, e dunque il confronto sarebbe stato – sulla carta – ad armi pari. Ma come dicevamo per gli aedi, così pure per i romanzieri: Philipp Pullman potrà pure scrivere La bussola d’oro contro l’epica di Tolkien e contro la mitologia di Lewis – resta il fatto che Il signore degli anelli e Le cronache di Narnia sono capolavori che fanno scuola e La bussola d’oro è l’esercizio a tavolino di uno scrittore indispettito dallo splendore della verità cristiana in quelle opere.
Però Dan Brown, che pure dichiara di essere un inventore di storie
– in Europa trovavo storia, arte, architettura su cui esercitare la mia fantasia –
si atteggia a pensatore:
Io penso che, grazie alla diffusione mondiale che oggi Internet consente, entro qualche decina di anni non ci sarà più bisogno di credere nell’esistenza di un Dio. Oggi nessuno crede più in Zeus, Vulcano, Posidone [sic!]. Fra poco anche il Dio cristiano sarà relegato nei miti. Solo che in questo momento di passaggio, credo che scienziati e religiosi dovrebbero parlarsi, avere un dialogo. Per esempio, i credenti dovrebbero smettere di pensare che gli atei siano solo delle persone malvagie e corrotte.
Grazie a internet (sic!) presto non si crederà in Dio? E questo lo chiama “pensare”? Fortuna che Brown individua un termine tutto sommato a portata di vita umana: è appena più furbo degli invasati che ogni mese annunciano un’armageddon solo perché tra “qualche decina d’anni” lui sarà morto o giù di lì. Non sembra però più intelligente, se davvero ritiene che il Dio cristiano sia omogeneo a “Zeus, Vulcano [nella triade ci sarebbe stato meglio Efesto, ma sorvoliamo…, N.d.R.], Poseidone”: di quale di quegli “dèi falsi e bugiardi” si ricordano luogo e data di nascita? Quale di loro, anzi, è stato tanto decisivo nella storia umana da segnare col proprio avvento tutto il tempo, dividendolo in “prima” e “dopo” tanto irreversibilmente che anche i non cristiani parlano di “common era”? E ora sarà “internet” a smantellare tutto ciò? …in poche decine di anni!? È più sfacciato di una bugia elettorale!
Ma poi non si capisce di che parli, Brown, quando insiste sul “dialogo” da costruirsi tra “scienziati e religiosi”… qualcuno lo informi che nella maggior parte dei casi gli scienziati e i religiosi comunicano di continuo perché sono le identiche e medesime persone.
Viene il sospetto che Brown parli dei propri personaggi come se fossero gli abitanti del mondo vero… e in tal senso si capisce che un romanziere abbia facoltà (e anzi diritto!) di vaticinare tutte le assurdità che vuole sui propri mondi immaginari. Tale sospetto trova un’importante pezza d’appoggio nel surreale riferimento finale alla presunta credenza per la quale i cristiani riterrebbero gli atei “persone malvagie e corrotte”: ma di cosa parla costui?
Davanti a simili sproloqui si può forse ricordare che l’atea di origini ebraiche Rita Levi Montalcini – per citarne una a caso – fu non solo premio nobel per la fisiologia ma membro stabile della Pontificia accademia delle scienze?
Entrambi – lo scienziato credente e non-credente – si sforzano di decifrare il palinsesto di molteplici stratificazioni della natura dove le tracce delle diverse tappe della lunga evoluzione del mondo si sono sovrapposte e confuse. Il credente ha forse il vantaggio di sapere che l’enigma ha una soluzione, che la scrittura soggiacente è, alla fine dei conti, opera di un essere intelligente, dunque che il problema posto della natura è stato posto per essere risolto e che la sua difficoltà è indubbiamente proporzionale alla capacità presente o futura dell’umanità. Questo forse non gli darà nuove risorse nella sua indagine, ma contribuirà a mantenerlo in un sano ottimismo senza il quale uno sforzo costante non può mantenersi a lungo.
“Il palinsesto della natura”, “tappe della lunga evoluzione”… Possibile che nei “lunghi anni di ricerche” a zonzo per l’Europa (di cui Brown si riempie la bocca) non gli sia mai capitato di imbattersi in queste e altre innumerevoli pagine?
Chiedo scusa se non ce l’ho fatta a restare al livello di Brown: il fatto è che quando si parla seriamente di cristianesimo non esistono pesi mosca. Ma se proprio Brown non vuole mettersi a imparare onestamente come stanno le cose, proviamo a farlo noi, applicando allo scrittore l’ultima frase di Lemaître riportata da Giovanni Paolo II: uno sforzo costante – come quello dell’autore di Origin – non può mantenersi a lungo, senza “un sano ottimismo”. E probabilmente la facile prospettiva di crescere nel calibro di “autore da 200 milioni di copie nel mondo” – con annessa pingue aspettativa di prosperità finanziaria – è un’eccellente fonte di “sano ottimismo”.
Non lo prendiamo per scemo, Dan Brown, per il fatto che venda scemenze. Sappiamo che nulla di geniale può darsi in una simile attività ma, per campare a sbafo sull’ignoranza e sulla generale moria delle lettere, ciò che fa lui basta e avanza. Non lo prendiamo per scemo, quindi: ma non si pretenda che passiamo per scemi noi.
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