L’economista: «Stato, società e mercato cooperino, evitando che uno di loro prevalga sugli altri»
«Irapporti tra Stato, mercato e società civile devono cambiare. Essi devono interagire tra di loro in modo sistematico, non saltuario. E in base a precisi protocolli». Su questo tema l’economista Stefano Zamagni membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, con il gesuita Juan Carlos Scannone (teologo argentino che insegnò greco antico e letteratura al giovane Bergoglio) ha organizzato una ‘tre giorni’ congiunta con l’Oducal (Organizzazione delle Università dell’America Latina), in corso in Vaticano, i cui partecipanti erano ieri matti-na nella Sala Clementina a incontrare il Papa.
Stato e mercato: un tema antico,in fondo.
Era già ben presente nella Rerum Novarumdi Leone XIII: lo Stato deve salvaguardare i diritti degli operai. Ma oggi, di fronte ai nuovi problemi – diseguaglianze, aggressione all’ambiente, il paradosso di una felicità che oltre un certo livello di benessere cala anziché crescere, un modello di democrazia che non funziona e vede la nascita dei populismi – è necessario che scendano in campo i soggetti dellasocietà civile.
Qual è il loro contributo originale, e necessario?
Si trova già nellaCaritas in veritate
di Benedetto XVI e poi nellaEvangelii gaudiume della Laudato si’di Francesco. La società civile mette in gioco il dono come gratuità. Il principio della reciprocità, per una sussidiarietà circolare. In altri termini, i tre soggetti – Stato, mercato e società civile – sono chiamati ad agire in modo sistematico e continuo. Insieme, senza la tuteladi uno sugli altri.
Che cosa accade altrimenti?
Si corrono tre pericoli opposti e speculari: il neostatalismo se prevale lo Stato, il neoliberismo (mercato) o certe forme di comunitarismo popu-listico, tipiche dell’America Latina (società civile). Declinato sul lavoro, sarà uno deitemi dell’imminente Settimana sociale di Cagliari. È quanto ha detto ieri mattina il Papa, invitando a «elaborare nuovi modelli di cooperazione tra il mercato, lo Stato e societàcivile».
L’obiettivo è dunque una sussidiarietà circolare?
Neanche questa è una nostra ‘invenzione’. La sua prima formulazione la troviamo in san Bonaventura da Bagnoregio.
Il Dottore serafico, biografo di san Francesco?
Proprio lui. Teologo e professore alla Sorbona di Parigi. Nel Duecento insegnava che il principe, i mercanti e le confraternite devono dialogare costantemente tra di loro contre obiettivi: definire le priorità, reperire le risorse e studiare le modalità di gestione, quella che oggi chiamiamo
governance. Insieme. Cosa che otto secoli dopo fatica ancora a essere compresa. Difficilmente i tre soggetti si pongono ‘circolarmente’, senza che uno prevalga e detti le regole. Anche quando c’è da fare del bene. Prendiamo la moderna filantropia del grande imprenditore che decide di aiutare qualcuno. Ebbene, non basta e può addirittura diventare pericolosa, perché sottrae la libertà, non consentendo al beneficiato di direla propria.
Il Papa parla anche di una diseguaglianza che non va consideratauna fatalità.
Infatti è endemica, prodotta da un sistema che la esige, perché senza non potrebbe funzionare.
Parla anche del lavoro, che deve essere «degno». Che cosa è racchiuso in questo aggettivo?
Il termine tecnico sarebbe «decente». Nel 1995 Avishai Margalit pubblica La società decente.Cinque anni dopo l’Ilo (Organizzazione mondiale del lavoro) recupera il concetto, facendolo suo. Il lavoro decente è il lavoro giusto che in più non offende la dignità della persona, non mortificandone il potenziale. La giusta mercede non basta, occorre anche la piena valorizzazionedelle energie del lavoratore. È un concetto potente: significa, per noi cristiani, partecipare al completamento della creazione tramite il nostro lavoro. Il settimo giorno Dio si riposa. Nel senso che lascia a noi il meraviglioso compito di proseguire ciò che fino a quel punto ha compiuto.
Fonte: Avvenire.it