Cose nuove e cose antiche è un libro che raccoglie alcuni testi di Giacomo Biffi risalenti agli anni del suo ministero sacerdotale milanese (1960-1975). Nelle sue pagine si ritroveranno la stessa forza, la passione e l’umorismo che costituiscono, per così dire, il marchio di fabbrica dell’intera produzione del Cardinale. Vi si troveranno parole nuove, giovani e fresche, proprio perché antica è la loro sorgente. Si potrà apprezzare la pastorale chiara e concreta del parroco Biffi, si potranno cogliere i fermenti e le speranze dei primi anni del postconcilio, respirare le incertezze e il disorientamento che la società e la Chiesa negli anni della “contestazione” andava sperimentando. Furono gli anni del “miracolo economico”, della “cultura del lavoro”, ma anche anni di crisi e di eventi funesti, di «subbuglio ideologico, morale, ecclesiastico e sociale» (Memorie e digressioni di un italiano cardinale).
Mensilmente cadenzata e liturgicamente ritmata, nel suo percorrere diverse volte l’intero ciclo annuale delle stagioni, con le sue rassicuranti monotonie ma anche con le sue sorprendenti e spesso disorientanti novità, questa lettura si configura come una retrospettiva che – per usare le parole dello stesso Giacomo Biffi – «ci dà il senso della continuità della Chiesa (…) al di sopra del mutare degli uomini e delle circostanze. Al di là di tutto ciò che cambia, “Cristo è lo stesso – come sta scritto – ieri e oggi e nei secoli”».
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Un estratto dal libro:
Concilio e “postconcilio”
A fare un po’ di chiarezza nella confusione che ai nostri giorni affligge la cristianità, e incombenza preliminare e ineludibile distinguere con ogni cura l’evento conciliare dal clima ecclesiale che ne è seguito: sono due fenomeni diversi ed esigono un apprezzamento differenziato.
Il “postconcilio” deriva certo storicamente dall’assise del Vaticano II e intende riferirsi al suo magistero, ma si connota altresì di una alterità inattesa nei confronti dell’evento che l’ha originato.
Il Concilio non si identifica affatto col “postconcilio”: il primo “a priori” va accolto con totale cordialità da parte di chi vuol continuare a dirsi cattolico; il secondo esige di essere analizzato e giudicato alla luce del primo e anzi alla luce di tutta la Rivelazione divina come è custodita indefettibilmente dalla Chiesa.
In via preliminare, si può e si deve supporre che non tutto sia accettabile né che tutto sia degno di riprovazione nelle asserzioni ricorrenti e nelle vicende dell’epoca postconciliare; e il necessario discernimento va compiuto con animo libero da ogni intimidazione e da ogni indebito ricatto culturale.
A questo proposito potrà giovare un consiglio semplice e pratico: quando sentiamo ripetere “il Concilio ha detto”, “secondo l’insegnamento del Concilio”, “in conformità alle direttive del Concilio”, è buona norma che si chieda di specificare quale sia il documento e (all’interno del documento) quale sia il paragrafo che si intende citare.
L’obbligo di tale distinzione non reca meraviglia né tanto meno suscita qualche turbamento in un cuore credente. Chi guarda alla storia della salvezza con gli occhi della fede, sa benissimo che non c’è evento nefasto dal quale il Creatore non ricavi qualche bene per i suoi figli. Allo stesso modo non c’è divino capolavoro che il demonio non tenti di tramutare in un’occasione per noi di malessere e di svantaggio spirituale; il che va ammesso anche per il Vaticano II, opera senza dubbio provvidenziale e supernamente ispirata.
Tocca all’uomo “pneumatico” (cioè “mosso dallo Spirito”), che “giudica ogni cosa” (cfr. 1 Cor 2,15), vigilare perché non si consenta al “padre della menzogna” (cfr. Gv 8,44) di aver successo nella sua attività preferita, che è quella di ricavare il male dal bene.
Giacomo Biffi
Fonte: CostanzaMiriano.com