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La scelta straziante ma giusta della madre che ha fatto arrestare il figlio (La lettera a suo figlio)

È accaduto a Bari. Una madre ha consegnato il figlio latitante e poi ha reso pubblica una lettera aperta al figlio per spiegare il suo gesto. Nel suo dolore e nella sua lucidità ci sono indicazioni preziose sul ruolo degli adulti nell’educare.

È successo in Puglia: una madre ha fatto arrestare il figlio ventitrenne, latitante e ricercato dalla polizia. E poi gli ha scritto una lettera aperta, che ha deciso di rendere pubblica.

Mentre le forze dell’ordine portavano via il ragazzo per consegnarlo alla giustizia, madre e figlio si sono guardati intensamente negli occhi. La madre nella sua lettera ha scritto che sentiva la morte nel cuore mentre tutto questo stava succedendo. Intanto il ragazzo le diceva che l’avrebbe odiata fino alla morte.

Nel suo scritto, toccante e sconvolgente al tempo stesso, la mamma ha affermato: «Odiami ragazzo mio, odiami finché vorrai… Io, al contrario, continuerò ad amarti con la stessa intensità di sempre e anche di più. Un giorno ammetterai che, in cuor tuo, era ciò che volevi anche tu: porre fine a questo supplizio. Forse mi vorrai incontrare e io avrò la conferma di essere una madre “fortunata” perché potrò ancora vederti, abbracciarti e parlarti… Tua madre».

Parole esplicite e dirette, che rivelano una chiarezza nella mente del genitore: a volte fare il bene dei figli, significa fare l’esatto contrario di ciò che essi desiderano. Perché spesso i loro desideri sono lontani da un “progetto di vita” degno di questo nome. A volte addirittura, sono contrari anche alle norme di legge che regolano il vivere civile. Quante volte, nel loro percorso di crescita, ci troviamo di fronte a figli che hanno fatto la cosa sbagliata, che hanno danneggiato una proprietà altrui, che hanno offeso e fatto soffrire qualcun altro.

Se sono accaduti eventi di questa natura è cruciale insegnare loro l’importanza di riparare il danno commesso. Certo non è facile portare un figlio a casa di chi da lui è stato leso, per scusarsi, riparare il torto effettuato ed eventualmente chiedere di essere perdonati. Significa implicitamente dichiarare che qualcosa nel nostro progetto educativo non ha funzionato bene. Significa venire a confronto con l’idea di genitori che avremmo voluto essere e che in realtà, almeno in quel frangente, non siamo stati in grado di essere.

Ma la vita è fatta di errori: se non si è riusciti ad evitarli, almeno è fondamentale porvi rimedio. Questo spesso i figli non lo sanno. O forse lo sanno, ma non amano credere che sia vero e necessario. Così – completamente persi nello logica del “tutto e subito” e sempre più immersi in una cultura dove il relativismo morale ha portato al potere e reso popolari personaggi che sull’illegalità e sulla totale assenza di etica hanno costruito il successo della loro esistenza – molti ragazzi vorrebbero condurre una vita “spericolata”, basata su trasgressioni e sregolatezza, senza farsi carico delle conseguenze derivanti.

Solo gli adulti possono ridare il senso del limite e permettere ad un giovane di ritornare sulla “via maestra”. In età evolutiva questo compito spetta a noi genitori. Perché se non lo facciamo noi, prima o poi dovrà farlo la legge. Ed ogni volta che chiudiamo gli occhi di fronte agli errori dei nostri figli, magari licenziandoli come “semplici ragazzate”, contribuiamo a costruire e modellare parte di quell’irresponsabilità che può condurre alcuni di loro nel territorio dell’illegalità. Non possiamo essere noi a decidere che cosa i nostri figli fanno, soprattutto quando sono alle soglie dell’adultità e l’hanno già raggiunta. Però, dobbiamo essere noi a capire – qualora sia necessario – di quale aiuto hanno bisogno per “pagare il conto con la giustizia” che in quanto tale non vuole umiliarli o mortificarli, ma semplicemente aiutarli a ridiventare persone responsabili capaci di avere una visione “etica” e perciò “giusta” della loro vita. La scelta di questa mamma, per quanto straziante nei modo e nelle conseguenze, è la scelta giusta. Questa mamma è certamente il migliore genitore che questo figlio poteva avere in tale frangente della propria esistenza. Sarà il tempo a farglielo capire.

Fonte: FamigliaCristina.it

 

Lettera a mio figlio

«Carissimo figlio mio, l’altra mattina ho fatto qualcosa che una madre non vorrebbe e non dovrebbe mai fare: ho tradito la cieca fiducia che tu da 24 anni riponevi me, consegnandoti nelle mani di qualcuno che di te non sa nulla, se non il tuo nome le tue “bravate”. È stato un gesto necessario ed inevitabile. Le notizie frammentarie e confuse che mi giungevano durante la tua assurda latitanza mi trafiggevano il cuore e, purtroppo, non avevo modo di poterti raggiungere, aiutarti a ragionare e a trasmetterti il malessere che sta vivendo.

Ciò che tanto mi opprimeva era il continuare la solita vita quotidiana che iniziava la mattina indossando quella “maschera” di normalità e finiva la sera quando, rientrata a casa, la riponevo sul comodino… Sempre attenta al telefonino, accertandomi che fosse carico, acceso e che non fossero arrivati sms che non avessi letto; ansiosa di ricevere un tuo cenno, una tua notizia. Nel contempo, terrorizzata quando sul display compariva un numero a me sconosciuto che potesse annunciarmi una disgrazia, un fatale incidente, un tragico epilogo della tua vicenda.

Il susseguirsi dei controlli durante il giorno, durante la notte a casa nostra, a casa di amici e conoscenti, non facevano altro che accentuare l’angoscia di saperti in pericolo, braccato da ogni forza di polizia in ogni luogo. Spesso leggevo negli occhi di qualcuno di loro la rabbia e l’accanimento nei tuoi con confronti, il loro desiderio morboso di volerti prendere quasi come per aggiudicarsi un “trofeo” da collezionare. Quando se ne andavano, temevo che, se ti avessero trovato, anche un solo tuo innocente movimento, una innocua mossa falsa che avresti potuto commettere, avrebbe potuto scatenare una loro reazione tragica e sproporzionata, decretando un drammatico finale.

Anni fa morì un tuo carissimo amico, un fratello per te. Ricordo chiaramente le parole che sua madre mi sussurrò quando mi avvicinai a porgerle le condoglianze: “Daniela, avrei preferito andare in carcere a fargli visita per tutta la vita, almeno avrei potuto vederlo, abbracciarlo e parlargli ancora… Tu sei fortunata!”. Il non sapere dove stavi, come sopravvivevi, dove dormivi, chi potevi incontrare durante il tuo “oscuro” cammino, mi logorava da mesi. Non c’era più pace nel mio cuore e nella mia testa… ero una candela la cui fiamma si stava spegnendo giorno dopo giorno, ora dopo ora…

Quella mattina ti eri accorto che qualcosa non andava. Forse leggevi nei miei movimenti l’ansia e l’angoscia che mi rendevano incerta e timorosa. Mentre mi avvicinavo a te, i nostri occhi sono immersi gli uni negli altri, quasi a fondersi in un unico sguardo e io mi sentivo come “Giuda” che tradì suo fratello… Ho abbassato il capo ti ho consegnato a chi ti stava cercando da troppo tempo… Volevo morire, ma mi convincevo sempre più di aver fatto la cosa giusta. E poi, il Comandante mi aveva dato la sua parola: niente violenza. Massima discrezione e rispetto dei tuoi e dei miei diritti di madre. Parola mantenuta!

Anche tu, d’altronde, hai dimostrato maturità, saggezza e rispetto del momento così difficile ed inaspettato. Mentre ti circondavano e ti inducevano a mantenere la calma, io ti chiedevo perdono per quello che avevo fatto. Tu cercavi miei occhi ed io, con la morte nel cuore, cercavo i tuoi… Più volte hai ripetuto che mi avresti odiata per il resto della tua vita.

Odiami ragazzo mio, odiami finché vorrai… Io, al contrario, continuerò ad amarti con la stessa intensità di sempre e anche di più. Un giorno ammetterai che, in cuor tuo, era ciò che volevi anche tu: porre fine a questo supplizio. Forse mi vorrai incontrare e io avrò la conferma di essere una madre “fortunata” perché potrò ancora vederti, abbracciarti e parlarti… Tua madre».

Fonte: Coratolive.it

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