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Biotestamento: le 10 domande in attesa di una risposta convincente

Le norme sulle «Disposizioni anticipate di trattamento» (Dat), sono da mercoledì 6 dicembre all’esame dell’aula di Palazzo Madama. Una materia delicatissima, che richiede prudenza e coscienza

La legge sulle «Disposizioni anticipate di trattamento» (Dat), detta anche sul «biotestamento» o il «fine vita», è da mercoledì 6 dicembre all’esame dell’aula del Senato, che ha già fissato sul suo calendario le prossime due date decisive per il cammino di uno dei provvedimenti più discussi e controversi di questa legislatura (e non solo, visto che pone nuove regole sulla vita e la morte di persone umane).

L’assoluta delicatezza della materia richiederebbe da parte di chi deve decidere e dell’opinione pubblica conoscenza vera del merito del provvedimento, della terminologia, delle implicazioni giuridiche, mediche, etiche. Ma il dibattito tende a sorvolare sui contenuti e sulle domande che solleva. Le poniamo noi, riassumendole in 10 interrogativi, che sono altrettanti nodi da sciogliere, sui quali è lecito attendersi una risposta sostanziale e convincente.

1. Nutrizione: terapia o sostegno?
La questione che la legge risolve con apparente sicurezza («sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale») vede in realtà divisa la comunità scientifica. Il solo fatto che si debba ricorrere a una cannula con accesso diretto al corpo del paziente non più in grado di mangiare e bere da solo non trasforma la natura dei nutrienti.

2. Volontà vincolanti?
La questione drammatica è se il paziente va assecondato in qualunque richiesta, inclusa la volontà di farla finita ritenendo non più sostenibile la sua condizione. Sarebbe la resa dello Stato, che rinuncia ad assistere, e dei medici, obbligati a voltare la testa.

3. E il divieto di eutanasia?
I fautori della legge obiettano che la legge non parla di eutanasia, né autorizza in alcun modo a dare o accelerare la morte del paziente. Ma allora, perché non vietare esplicitamente qualunque pratica eutanasica? Basterebbe un semplicissimo comma.

4. Perché sospendere il Codice?
Ad alimentare le ambiguità (e sospetti di voler lasciare socchiusa la porta per future pratiche inaccettabili) c’è il passaggio in cui il medico viene sollevato da ogni conseguenza civile e penale per atti che gli sono richiesti (o che omette) su richiesta del paziente o del suo fiduciario. Perché questa “zona franca”?

5. Perché non c’è l’obiezione?
Sarebbe naturale se, giunti a questo punto, il testo riconoscesse esplicitamente il diritto all’obiezione di coscienza per i medici che non intendano cooperare ad atti contrari alle loro convinzioni. Ma la legge sul punto si limita genericamente a esentare il medico da «obblighi professionali».

6. E gli ospedali cattolici?
La legge non fa sconti a nessuno e obbliga «ogni struttura sanitaria pubblica o privata» ad adeguarsi alle nuove regole. Impensabile però che un ospedale d’ispirazione cristiana (e non solo) sia costretto ad accettare al suo interno la morte di un paziente provocata da atti od omissioni mediche.

7. Dov’è il registro nazionale?

Le volontà di fine vita possono essere custodite da notai, medici, comuni… Manca del tutto nella legge la previsione di un registro unico nazionale, che garantisca uniformità, reperibilità e privacy. Un buco inspiegabile.

8. Le volontà sono «attuali»?
Ciò che si è immaginato del proprio futuro differisce da quel che si sperimenta al momento in cui la malattia si manifesta. Ma al paziente che perde conoscenza non è garantita la possibilità di mutare volontà: valgono le disposizioni che ha lasciato scritte, anche quelle irreparabili. E se dovesse riprendersi cambiando idea?

9. Decide il giudice?
Nei casi in cui c’è controversia tra medici e parenti (o il fiduciario) è previsto che decida il giudice. Ma un magistrato ha più parola in capitolo di un medico, o dei genitori di un bambino?

10. Perché «disposizioni»?
Il titolo della legge è un problema ancora irrisolto: le «disposizioni» renderebbero la norma italiana la più vincolante al mondo, riducendo i medici a notai e spezzando il legame tra il paziente e il suo medico. Ne vale la pena?

Fonte:Francesco Ognibene | Avvenire.it

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