La dottrina sociale per uscire dalla crisi. Londra è già partita
— 12 Novembre 2014 — pubblicato da Redazione. —Racconta Longley ad Avvenire: «Sono coinvolto da tre anni nell’iniziativa voluta dall’arcivescovo cattolico Nichols nella City di Londra intitolata «Un piano per un mondo degli affari migliore» (www.blueprintforbusiness.org). Si tratta di una serie di convegni per diffondere il punto di vista cattolico tra gli uomini d’affari che, di solito, sono occupati con i piccoli dettagli della vita economica e si concentrano nella massimizzazione del profitto per gli investitori e gli azionisti. La crisi economica del 2008 ha dimostrato che questo mondo ha fallito e li ha costretti a un ripensamento. È per fornire loro una risposta che ho scritto questo documento. Il centro di studi religiosi londinese “Theos” ha sponsorizzato questa ricerca e una dozzina di economisti e accademici mi hanno aiutato indicandomi la giusta direzione e correggendo alcuni errori.
Perché ritiene che la Dottrina sociale cattolica spieghi la crisi economica del 2008 e possa in qualche modo fornire gli antidoti per evitare un suo possibile ripetersi?
Dagli anni Settanta e Ottanta l’ideologia prevalente, nelle economie anglosassoni, sia in Gran Bretagna sia negli Stati Uniti, è stata una fede cieca nel libero mercato che, libero dalla qualsiasi intervento statale, avrebbe prodotto ricchezza per tutti. Punto di vista proposto da Friedrich Hayek, l’economista austriaco che ha lavorato con i governi di Canada e America e ha firmato «Verso la schiavitù». Per Hayek la competizione è la legge base della vita economica. Già nella «Rerum Novarum», prima enciclica sociale della Chiesa, Leone XIII criticò queste teorie, dicendo che gli uomini sono, per loro natura, sociali, mettendo al centro la persona e invitando operai e padroni a collaborare per evitare scontri. Questa tensione, tra Dottrina sociale della Chiesa e neoliberalismo si è riproposta con la crisi del 2008. Dimostrando che il libero mercato, lasciato a sé stesso, finisce per mettere il profitto al primo posto, travolgendo così le persone.
Pensa in particolare a quel prodotto del capitalismo spinto che è la finanza speculativa?
Il prezzo al quale i prodotti finanziari che hanno il dato il via alla crisi venivano comprati e venduti non aveva nessun rapporto con qualsiasi valore del mondo reale. Valevano semplicemente quello che qualcun altro era disposto a pagare per essi. Gli operatori che promuovevano questi prodotti sapevano di imbrogliare, ma, all’interno di un sistema che poneva al primo posto il denaro, questo non era importante. A metterlo in luce con chiarezza è stata l’enciclica di Benedetto XVI «Caritas in veritate», che ha sottolineato come la crisi del 2008 sia stata soprattutto una crisi di valori. Il mercato, lasciato a sé stesso, aveva divorato il capitale sociale, ovvero l’onestà degli operatori finanziari, la fiducia che nutrivano gli uni verso gli altri e la consapevolezza che avevano di servire, col loro lavoro, la comunità alla quale appartengono.
Proprio i valori che oggi la City in qualche modo tenta di recuperare?
Sì. Oggi nel cuore finanziario di Londra si legge e si discute la Dottrina sociale cattolica. Il governatore della Banca di Inghilterra, Mark Carney, cattolico praticante, ha recentemente affermato che, come qualunque rivoluzione divora i suoi bambini, così anche il fondamentalismo del mercato, senza controlli, può divorare il capitale sociale, un capitale essenziale per il dinamismo di lungo termine del capitalismo stesso.