Lasciamoci tentare dalla trasgressione. Non da quel suo surrogato sempre più diffuso che consiste nel fumare, nel bere fino alla nausea o nel marinare la scuola con gli amici per sentirsi, erroneamente, grandi e liberi, ma l’ “andare oltre“ che l’ etimologia latina tenta, spesso inascoltata, di suggerirci. Una trasgressione che non deriva dall’esterno, dall’ imitazione di quello che è in apparenza il più forte, ma nasce secondo alcuni dall’interno, secondo altri dall’alto, e rende indubbiamente un individuo qualunque un personaggio straordinario.
Chi ha il coraggio di esprimere la propria opinione andando controcorrente è temuto dalle autorità, dunque la società lo allontana. Ma le stelle brillano anche se distanti anni luce, e certo non basta allontanarle di una quarantina di chilometri per diminuire la loro intensità luminosa. Sono infatti quaranta i chilometri che separano Barbiana da Firenze.
“L’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni” recita il titolo di un’opera dedicata a don Lorenzo Milani. E’ questo personaggio che voglio presentarvi, quintessenza di quella trasgressione che conoscevano bene gli antichi, che infatti ne hanno inventato la definizione, e che nella nostra epoca è sempre più rara perché richiede coraggio e determinazione, qualità ormai superate.
Durante le vacanze natalizie ho visitato Barbiana, gruppetto di case in mezzo al verde delle colline toscane, che sarebbe esagerato definire paese.
Il silenzio ancora oggi regna sovrano, tutto tace su quel colle che fino a qualche decennio fa non era raggiunto dalla corrente elettrica. Una domanda sorge spontanea : cosa potrebbe mai fare un sacerdote confinato quassù, se non curare quel centinaio di anime che gli sono affidate, considerate da tutti irreparabilmente rozze e ignoranti?
Domanda scontata, risposta sorprendente. Schema di Propp: Prima fase. L’equilibrio iniziale raggiunge l’apice: entra in gioco il carattere forte del personaggio.
Quel sacerdote, don Lorenzo Milani, mandato dalla luminosissima Firenze della prima metà del secolo scorso in quel piccolo paese buio e umido, con l’intento di allontanare con lui le sue idee anticonformiste e poco ortodosse, fa di Barbiana il cuore della sua riforma, che andrà a rivoluzionare l’intero sistema didattico italiano.
In mezzo a quel nulla che Barbiana stessa ammette di essere senza troppe pretese, nasce la scuola di don Milani, come un’oasi nel deserto. Il nuovo parroco capisce subito che l’esigenza più grande di Barbiana è una scuola che trasmetta ai giovani non solo nozioni, ma una vera e propria scuola di vita, che li impegni dodici ore al giorno, anche durante le feste e la domenica.
Entrando nella canonica in cui il priore insegnava ai ragazzi con un antitetico ma efficacie mix di severità e dolcezza, si ha la sensazione di entrare in una semplice aula di studio, dotata di due lunghi tavoli in legno, panche e qualche strumento rudimentale: non di certo in una scuola a tutti gli effetti. Nevio, l’ex alunno di don Milani che ci ha accompagnati nella visita, ha voluto precisare che ogni strumento è stato creato da loro: banchi e panche estrapolati da un tronco, cartine geografiche disegnate a mano, erbari colmi di fiori e piante raccolti sulle colline toscane e un astrolabio per osservare il cielo stellato.
Ecco cos’aveva di tanto speciale la scuola di Barbiana: insegnava a vedere nel tronco una panca, nell’articolo di giornale l’opportunità di studiare l’italiano e conoscere l’attualità, e addirittura nella diagnosi di un tumore polmonare quella di avvicinarsi alla medicina e alla realtà nuda e cruda.
Ecco che si passa alla rottura dell’equilibrio iniziale. Nemmeno la malattia ferma chi è trasgressivo, chi ha un progetto da portare avanti nel nome di Qualcun Altro, e a nulla servirono le esortazioni del fratello medico a trasferirsi altrove, in un posto più caldo e meno umido. Non bastano nemmeno le minacce e gli articoli di protesta a fermare un don Milani, uno che vede nella situazione sfavorevole una possibilità di crescita : nella nostra epoca succede solo nelle fiabe. Con lui lo schema di Propp fallisce, perché lui stesso decide che l’equlibrio non si rompa. Il segreto di don Milani è racchiuso in quel motto che oggi spicca a caratteri cubitali sulla parete della canonica, testimoniando che don Milani non è solo storia, ma realtà: “I CARE”, cioè “me ne importa”, in contrasto con il motto fascista “non me ne frega niente”. “I CARE” rappresenta il primo, imprescindibile passo solcato da chi vuole fare qualcosa per migliorare la realtà che lo circonda e non subirla passivamente.
1967: la luce si spegne, don Milani ha trascurato la carne, di cui la maggior parte degli esseri umani sono schiavi, per dedicarsi con tutta l’anima alla sua missione. Il sipario si chiude, ma lo spettacolo continua.
Il priore di Barbiana ha combattuto fino in fondo per i suoi ideali, per questo oltre a trasmetterli tramite l’insegnamento ha scritto lettere e libri, di cui il più conosciuto è “Lettera a una professoressa”, perché nato dalla collaborazione con i suoi ragazzi, veri protagonisti della scuola.
Anche se la strada è ancora lunga, se la scuola oggi è un po’ miglioro e rispetto al passato, più reale ed efficacie nei metodi adottati, è anche don Milani che dobbiamo ringraziare.
M. Ferrari
(Studentessa – Liceo Classico “Costa” La Spezia)