Dall’inizio dell’anno scolastico, si sono ripetute più manifestazioni di studenti contro l’alternanza scuola lavoro con cartelli inneggianti alla abrogazione della legge che la istituisce. La motivazione di fondo di queste proteste riguarderebbe il potenziale sfruttamento degli studenti nel coinvolgimento delle 200 ore annue previste per i licei e 400 ore per le scuole tecniche. Affermazioni strampalate e gravi per un Paese che vive solo di ciò che sa fare nell’ industria, nel turismo, nei servizi, in agricoltura. È preoccupante che ancora non ci si renda conto della presenza nella scuola di cattivi maestri, che ancora influenzano gli studenti italiani. Sono quelli che già tanti anni fa, hanno fatto saltare il concetto di un tutt’uno, tra la concreta realtà produttiva di una comunità, e la istruzione e formazione; per la pretesa ideologica di tenere la scuola autonoma dall’impresa.
C’e da dire che costoro ci sono riusciti pienamente a provocare lo scollamento, che ha indebolito il nostro sistema di istruzione; ormai incapace di una missione precisa nel proprio contesto socio-economico, pur in presenza di imprese in sofferenza per la scarsità di professionalità occorrenti. Tuttavia l’alternanza scuola lavoro, ha avuto il pregio di aver rimesso al centro dell’attenzione le nostre necessità, anche se la normativa è incompleta e farraginosa, e i soggetti deputati alla gestione sono bisognosi di maggiori specializzazioni. Al più presto il Governo dovrà fare il tagliando del provvedimento, considerando con benefici fiscali, le incombenze della impresa nell’ospitare gli studenti, delle necessaria costituzione di task forte di dirigenti scolastici, da preparare specificatamente per la gestione dei propri compiti, la individuazione di realtà ausiliarie alla scuola ed impresa per facilitare i rapporti e la progettazione dei programmi.
Questi temi non si possono solo affidare alla buona volontà dei soggetti interessati, seppur preziosa. È un tema che va ripreso con più decisione per ottenere risultati che ci attendiamo. I tedeschi lo affrontano con uno schema regolato già a monte: con un’area di istruzione genericista, ed un’altra tutta orientata alle professioni e mestieri del lavoro. Quest’ultima, prevede un terzo di lezioni sui banchi delle scuole, e gli altri due terzi in azienda con programmi precisi di professionalizzazioni gestiti da tutor della impresa preparati al compito. Le imprese sono agevolate per quello che fanno, e partecipano con le loro associazioni, insieme a quelle dei lavoratori, alla programmazione delle attività scolastiche.
Questo sistema ‘duale’, si capisce, è un sistema che contribuisce al successo della economia tedesca, ed aiuta fortemente a rendere molto più veloce l’introduzione dei giovani nei posti di lavoro e a dare loro il senso dell’itinerario di vita. Ironia della sorte, il modello tedesco è molto simile a quello italiano in vigore fino agli inizi degli anni 60. Infatti il triennio dopo le elementari era costituito da due canali: uno genericista e preparava ai licei, l’altro orientato a professioni e mestieri, che preparava all’accesso agli studi per il diploma degli istituti tecnici. Sarebbe interessante andare a ritrovare negli archivi delle scuole, i reperti di testimonianza del rapporto stretto tra impresa e scuola.
Questo sistema cessò sull’onda dell’ideologia della eliminazione di una istruzione per ricchi (la scuola media per i licei) e di quella dei poveri (l’avviamento professionale per gli istituti tecnici). Sono passati molti anni, e si può dire che non abbiamo ottenuto né una buona ‘genericista’ né una buona ‘professionale’: tutto ha congiurato per realizzare il peggio. Si è fatta eguaglianza, ma, come capita in questi casi, al ribasso. Ci si lamenta che i giovani, bene che vada, arrivano tardi al lavoro e sono privi di professionalità; che le aziende hanno bisogno di qualifiche che non trovano. I motivi vanno ricercati in questa situazione senza senso: il tutto mentre alcuni giovani, influenzati dai cascami di negative ideologie, gridano allo sfruttamento. Questa italietta va cancellata, per il bene di tutti!
Fonte: RAFFAELE BONANNI | InTerris.it