V secolo a.C.: un cittadino ateniese di nome Socrate pronuncia una frase che diventerà stimolo e ispirazione per tutti i popoli a venire: “So di non sapere“. Sapere cosa? Quali sono i confini della conoscenza a cui posso aspirare? L’uomo saggio tende continuamente alla ricerca della verità, seppur consapevole dell’impossibilità del suo completo raggiungimento.
- Il tempo scorre e nel frattempo sono state fatte scoperte importanti. A Pisa nasce Galileo Galilei, che con i suoi studi permette all’umanità di solcare un importante passo verso la conoscenza dell’universo.
Ma che cos’è una grande scoperta al cospetto dell’infinità dell’universo? Quasi niente: le cose da conoscere sono tante, troppe, e lui ha solo aggiunto un tassello al grande puzzle che la scienza può con il tempo costruire. E’ ben consapevole di questo, come dimostra nella “Lettera a Don Benedetto Castelli”: “Chi vuol por termine agli umani ingegni? Chi vorrà asserire già essersi saputo tutto quello che è al mondo scibile?”. Nessuno dotato di facoltà razionali, risponderemmo.
La scienza progredisce e gli studiosi dell’ultimo secolo hanno fatto passi da gigante in ogni campo della ricerca.
Le nuove scoperte spesso spaventano, implicano la negazione di quelli che in passato erano stati assunti come principi; la Chiesa in questo è stata maestra, spesso indissolubilmente legata a un’interpretazione letterale dei testi biblici, considerati detentori di verità assolute e inconfutabili.
Ma il vascello della scienza avanza imperterrito verso mari ignoti e la sua rotta non può essere invertita da nessun vento contrario. Una domanda però sorge spontanea: si può porre un limite alla scienza? Su questa questione scienziati e non si dividono. Tutti abbiamo letto l’articolo, o almeno il suo titolo, che poche settimane fa campeggiava su tutte le copertine dei giornali : “Prime scimmie clonate con la tecnica della pecora Dolly”. Stiamo parlando di Hua Hua e Zhong Zhong, due macachi femmina identici dal punto di vista genetico. Il primo successo dopo un’infinità di esperimenti falliti a cui si dedicano molti scienziati sparsi in tutto il mondo da 19 anni a questa parte, quando per la prima volta fu clonata una pecora in Scozia. C’è chi esulta e chi considera la scoperta “una minaccia per il futuro dell’uomo”, come il cardinale Elio Sgreccia. Dato che la questione è contorta ed ognuno ha un’opinione differente dalle altre, mi limiterò ad esporre la mia. Io credo che non si possa né si debba porre un limite alla scienza. Limitare la scienza, il cui significato latino è “sapere”, sarebbe come ordinare all’universo, che oggi sappiamo essere in espansione, di non dilatarsi più. La mente umana è per sua natura alla ricerca della verità, la sete di conoscenza è insita nell’essere umano.
“So di non sapere”, per questo, nella mia piccolezza, provo ogni giorno ad apprendere qualcosa di nuovo.
Credo che però un limite debba essere posto e non riguarda la scienza, ma la morale. In quanto uomini e non bestie siamo dotati di un’interiorità, che alcuni definiscono “anima”, e che se ascoltata ci suggerisce come applicare la scienza senza arrecare danno a nessun essere vivente, ma investirla in qualcosa di positivo.
Questo è il compito della bioetica, che “disciplina i problemi relativi all’applicazione all’uomo, agli animali e all’ambiente delle nuove conoscenze acquisite dalla ricerca bioetica e medica”, citando lo Zingarelli. Questo concetto è a mio parere espresso in maniera molto efficace da Giovanni Berlinguer nel testo “Le bioetiche , regole e culture”, pubblicato nel 1997 : “In questo periodo cruciale sono state spesso introdotte, per iniziativa o per il concorso della comunità scientifica, restrizioni o linee-guida, moratorie o divieti, barriere o direttive; quasi sempre con conseguenze morali o pratiche molto positive. Esse però non sono state rivolte contro la scienza, ma verso le tecniche della sperimentazione e verso le tecniche applicative delle nuove conoscenze acquisite (…)”. Il rischio da evitare con massima cautela è che le nostre vite diventino “vite artificiali” e che la situazione ci sfugga di mano, fino a trasformare il nostro mondo in quello del cartone animato Wall-E, o che le conseguenze siano disastrose come quelle della Creatura di Frankenstein nell’omonimo romanzo di Mary Shelley. Questo quello che penso: ben venga il progresso scientifico, ma tenendo ben presenti alcuni principi morali… o distruggeremo noi stessi e il pianeta che abitiamo con le nostre stesse mani.
Matilde Ferrari – (Studentessa di 17 anni)