Quante spiegazioni ci vorrebbero per capire un gesto come quello della sparatoria in Florida. Ma come stare davanti ad un mondo in cui questi gesti tremendi accadono sempre più frequentemente senza soccombere alla paura, all’indifferenza o alle illusioni? Come vivere anche questa notizia con la curiosità umana di scoprire Dio perfino in mezzo alla tragedia?
Ricordo la prima volta che ho sentito di un massacro in una scuola come quello accaduto in Florida questa settimana. Era in Scozia nel 1996, tre anni prima del famoso massacro di Columbine, Colorado. Avvenuto in una scuola elementare in cui morirono 16 bambini e 1 insegnante. Per caso lo stesso giorno in cui arrivò la notizia dovevo predicare ad un gruppo di insegnanti di una scuola elementare.
Ricordo che non volevo offrire parole stupide di conforto. Non volevo fornire ridicole soluzioni e chiamarli a grandi sforzi di educazione per prevenire tali disastri. Vedevo l’orrore, lo sgomento, l’incredulità, il rifiuto di concepire questo gesto come qualcosa di appartenente al loro mondo.
Pensavo di sentire nelle loro voci una accusa contro Dio: “Queste cose non accadrebbero se Dio ci fosse”. Percepii invece una necessità di allontanare questo fatto dalla loro coscienza, forse attraverso l’illusione di nuovi leggi che avrebbero fatto sì che fatti simili non sarebbero più avvenuti fra di noi.
Io, invece, ero cosciente di un’altra esigenza. Perciò dissi loro: “O Dio non è Dio, non è il Dio che crea, che salva, che ama, che ci conosce e ci guida, o in qualche modo dobbiamo ammettere che questo avvenimento orrendo non è fuori della Grazia di Dio.
Ogni volta che sono davanti alle sofferenze senza senso, le perdite insopportabili, le ingiustizie inaccettabili ritorno a questo punto: “È possibile ammettere che forse anche questo male serve alla nostra salvezza?”. Se non è possibile questo, se non è possibile affermare che anche l’ingiusta ed orrenda morte dell’innocente può entrare nella strada della vita, allora Dio non è Dio. E quindi, invece di perdere tempo con lui, dobbiamo metterci a difendere noi stessi dalla violenza che ci minaccia continuamente.
Come rispondere alle notizie dalla Florida, dove per l’ennesima volta vediamo una persona affermare la sua esistenza in un gesto di violenza contro i vicini, i colleghi, i coetanei? Come non perdere la nostra umanità con una stupida indifferenza o dentro una sconsiderata campagna per cambiare le leggi, cambiare le strutture e la società per proteggerci dalle persone in mezzo a noi e perciò porre le nostre speranze in una struttura e in uno sforzo umano? Come aprirci alla possibilità che nulla sfugge al Dio che ci salva, neanche questo fatto violento?
L’unico risposta che conosco è una compagnia che mi sfida, giorno dopo giorno, ora dopo ora, a non censurare nulla della mia vita, nulla e nessuno. Che mi sfida a scoprire dentro tutto ciò che capita, assolutamente tutto, una Presenza inaspettata che mi accompagna anche lì.
Qualcosa è cambiato, e mi sembra che abbia a che fare con una abissale incertezza sul reale. La realtà virtuale ci lascia senza un senso dell’esistenza. Nessuna storia. Nessuna appartenenza.
Infatti, quante spiegazioni ci vorrebbero per capire un gesto come quello della sparatoria in Florida. Un gesto ripetuto sempre più spesso e che in passato non avveniva, nonostante le armi circolino da sempre negli Usa. Un gesto che dice di un grido per dimostrare al mondo indifferente (e ormai divenuto nemico) la propria esistenza. Ma resterebbe l’interrogativo: come stare davanti ad un mondo in cui queste cose accadono sempre più frequentemente senza soccombere alla paura, all’indifferenza o alle illusioni? Come vivere anche questa notizia con l’esigenza umana di scoprire Dio perfino in mezzo alla tragedia? È possibile solo se oggi, ora, non censuro nulla, convinto che la realtà, così com’è, sia l’unico luogo in cui posso incontrare il Salvatore.
Abbiamo il bisogno di scommettere, radicalmente scommettere, sulla realtà, guardandola in faccia tutta e soffrendola tutta, pur di testimoniare che vale la pena affrontarla, perché esiste una compagnia che la rende positiva, sensata. Solo così possiamo vivere con speranza noi e forse riuscire ad avvicinarci, senza ignorarlo, a chi la speranza l’ha persa.
Questo è il programma da cui può nascere il cambiamento necessario a guarire la nostra società malata. Non leggi migliori, non sistemi di sicurezza perfetti, ma la speranza di una Presenza comprovata sulla nostra stessa pelle.
Fonte: Vincent Nagle | LaNuovaBQ.it