Zygmunt Bauman affermava, qualche anno fa, di non invidiare affatto la classe politica. Che si trova a gestire nel mondo della globalizzazione aspettative crescenti e situazioni economiche e sociali complesse, nelle quali gli spazi di manovra dei Governi nazionali sono sempre più limitati. Detto in altre parole, non esiste nessun politico-Cireneo in grado di caricarsi sulle spalle, da solo, la croce della soluzione di questioni così complesse. Una parte niente affatto piccola della nostra Italia, però, è sempre stata più “sdraiata” che generativa, e ha storicamente il vizio della ricerca dell’uomo della Provvidenza, con inevitabile delusione a fine avventura. Sarebbe un passo avanti importante non ripetere lo stesso errore e imparare finalmente a non personalizzare troppo la vita sociale e politica del Paese.
L’art. 3 della Costituzione, quello che traccia più chiaramente l’orizzonte del “bene comune” verso cui la società dovrebbe tendere in una splendida confluenza delle tre matrici di pensiero dei padri costituenti (cattolica, socialista e liberale), chiarisce che è compito «della Repubblica» e non solo dello Stato o del Governo rimuovere gli ostacoli alla piena realizzazione della persona. Il politico intelligente e fedele al mandato costituzionale oggi, dunque, non dovrebbe avere esitazioni rispetto al dovere di essere anche “levatore” delle energie della società civile, nell’ottica del principio di sussidiarietà, laico caposaldo della Carta e saldo principio della Dottrina sociale della Chiesa. Non per nulla, le regole, le riforme, le leggi che hanno più successo sono proprio quelle che realizzano quest’obiettivo e non quello opposto di centralizzare e imbrigliare tutto, aumentando i lacci e lacciuoli che limitano la libertà d’iniziativa e l’impegno solidale nel nostro Paese.
Se tutto questo è vero ci domandiamo se e quanto le nuove forze politiche egemoni, che hanno vinto le elezioni e – comunque vada la partita del Governo – giocheranno un ruolo determinante nel prossimo futuro, abbiano il principio della sussidiarietà nel loro Dna.
Al solito, all’interno di un partito coesistono diverse visioni e correnti di pensiero. Così è stato per il Partito Democratico che ha visto dibattere al proprio interno una visione più accentratrice e una più sussidiaria producendo, alla fine la “sintesi” della riforma del Terzo settore e del Credito cooperativo. Così è probabilmente per la Lega e per il Movimento 5 stelle. In quest’ultimo, coesistono senz’altro una vena dirigista, che ritiene fondamentale il ruolo di una forte banca pubblica e dello Stato innovatore, ed esperienze di società civile che hanno maturato in questi anni “dal basso” soluzioni innovative nell’ambito dell’economia solidale e della finanza etica. Non è detto che questi elementi non possano coesistere.
La questione può diventare molto concreta, come dimostra il caso della destinazione delle monetine della Fontana di Trevi a Roma (1,4 milioni di euro l’anno) tradizionalmente destinate alla Caritas, destinazione che la giunta Raggi aveva inizialmente deciso di revocare per poi tornare sui suoi passi, almeno fino al 31 dicembre 2018. Un caso che rientra perfettamente nel problema più generale. Dove secondo il principio di sussidiarietà, la via maestra si sviluppa nella consapevolezza che alla cura di bisogni importanti come quello della solidarietà possono provvedere direttamente i cittadini come singoli e come associati, con i pubblici poteri che intervengono in funzione sussidiaria, di programmazione e coordinamento. Beninteso, non devono esistere “santuari” inviolabili a prescindere. La riforma del Terzo settore chiarisce che le imprese sociali e le organizzazioni della società civile sono chiamate a fare al meglio il proprio lavoro, in un quadro che prevede trasparenza, rendicontazione, valutazione d’impatto e competizione per le risorse a esse destinate dai cittadini (ad esempio, attraverso il 5 per mille).
Ecco perché la questione delle monetine della romana fontana di Trevi, rimanda a questioni simili molto importanti. Come si intende procedere sul percorso della riforma del Terzo settore? E come sul fronte della rete di protezione universale, dove il reddito d’inclusione, avviato dal Governo uscente, faceva affidamento sul ruolo complementare di servizi pubblici e realtà sociali impegnate della presa in carico enell’accompagnamento dei beneficiari?
L’approccio più efficiente (e l’unico possibile per un’amministrazione lungimirante) èsenz’altro quello di un sistema ‘a 4 mani’ dove il ruolo di Stato e mercato è coadiuvato da quello di imprese responsabili e cittadinanza attiva (e sue forme associative). In una logica che, seguendo la linea della riforma del Terzo settore, non garantisce rendite di posizione, ma vede tutti impegnati a fare uno sforzo per innovare e migliorare nella capacità di generare beni e servizi sociali in un contesto di risorse scarse.
Fonte:Leonardo Bechetti | Avvenire.it