Occhi incollati sullo smartphone anche quando si è in compagnia. Così le relazioni umane si dissolvono
ell’era della tecnologia ogni uomo è un’isola. A pochi centimetri dal nostro naso, saldamente afferrato fra pollice e indice c’è tutto quello di cui, apparentemente, abbiamo bisogno: il mondo racchiuso in un palmo di mano. Conversazioni, interazioni, transazioni commerciali, polemiche sportive o politiche. Tutto passa attraverso lo smartphone. E la realtà sensibile, lo spirito d’osservazione, i rapporti basati sul contatto umano prima si appannano e poi svaniscono.
Il fenomeno
Stigmatizzare, rimproverare o semplicemente ironizzare sulle decine di facce incollate sullo schermo luminoso di un telefono o di un tablet non è sufficiente. Il problema è grave, è sociale. Non è semplice maleducazione quella che porta il nostro amico o parente, mentre è con noi, a chiudersi nel suo mondo virtuale. E’ molto di più. E’ il frutto di un impulso interiore che diventa mania. E’ phubbing, neologismo in uso ormai da qualche anno che nasce dalla crasi di due parole inglesi: “phone” (telefono) e snubbing (snobbare). Messe insieme descrivono l’atteggiamento di chi si estranea dalla realtà circostante, anche quando è in compagnia, per consultare social network e chat online. Una vera e propria malattia, stando allo studio condotto da Computers in Human Behavior, portale che indaga sull’uso del pc secondo un approccio psicologico.
La coppia scoppia
La ricerca, condotta su centinaia di persone, ha elaborato i primi numeri del fenomeno. Il 36,6% degli intervistati ha spiegato di non vedersi riconosciuta la giusta attenzione da parte del proprio partner, mentre il 22,6% ha messo il phubbing in cima alla lista dei problemi che hanno portato a un allentamento del rapporto di coppia. Semplice gelosia? No. Non è il sospetto di relazioni clandestine a rovinare fidanzamenti e matrimoni, quanto la sensazione di essere lasciati soli, il percepire, dalla controparte, un sostanziale disinteresse nei propri confronti. E, in effetti, chi fa phubbing trova più gratificanti le interazioni mediate dallo strumento tecnologico piuttosto che quelle reali, con le persone intorno a sé.
Contagio
La conseguenza immediata, sostiene uno studio più recente condotto dagli stessi ricercatori e pubblicato sul Journal of the Association for consume research, porta le vittime, a loro volta, a rifugiarsi nel phubbing, dando il la a una sorta di, pericoloso, circolo vizioso ammazza rapporti. “Quando un individuo subisce phubbing si sente socialmente escluso, e questo conduce ad un bisogno molto forte di attenzione – spiegano Meredith David e James A. Roberts, della Baylor University’s Hankamer School of Business del Texas -. Ma invece di recuperare l’interazione faccia a faccia, e così ricostruire un senso di inclusione, i partecipanti alla nostra indagine si sono rivolti ai social network per riguadagnare quel senso di appartenenza“.
Top 20
Diverse realtà si stanno muovendo per contrastare il fenomeno. Fra queste il sito Stopphubbing.com, che fa realizzare ancor di più quali sia la dimensione del problema. “Se il phubbing fosse un’epidemia – si legge – decimerebbe 6 volte la popolazione della Cina”. Non solo: mediamente nei ristoranti si verificano 36 casi di auto alienazione per pasto. “Ciò equivale a trascorrere 570 giorni da soli mentre si è in compagnia di altri”. Un’infografica pubblicata dal portale propone una classifica delle città più interessate dal problema. Sul podio New York con oltre 19 milioni di casi, seguita da Los Angeles (oltre 15 milioni) e Londra (circa 13 milioni). Parigi è al quarto posto (oltre 10 milioni). Nella top 20 (chiusa da Toronto) non ci sono città italiane ma non mancano realtà come Bombay (India) e Karachi (Pakistan). Anche la dove la povertà la fa da padrone, evidentemente, mercato e mode hanno vinto la loro battaglia.