Per ogni cervello che lascia l’Italia, c’è una famiglia che resta e, soprattutto nel caso di figli ancora studenti, si deve preoccupare di mantenerlo nel nuovo Paese. Certo, tanti (lodevolmente) si arrangiano con i cosiddetti “lavoretti”, che però, quasi mai, coprono il costo della vita. Quanto costa, allora, alle famiglie italiane un figlio che decide di andare a studiare all’estero?
Se lo sono chiesti il Centro Altreitalie, che fa ricerca sui movimenti migratori italiani e il blog www.mammedicervellinfuga.com, nato nel 2016 e primo sito italiano dedicato alle famiglie dei giovani che, appunto, hanno scelto di andare a vivere altrove, per studio o per lavoro. Dati ufficiali non esistono e nemmeno ricerche sul campo. L’ultima, ma riferita ai costi per lo Stato e non per le famiglie, l’ha effettuata il Centro studi di Confindustria lo scorso settembre. Risultato: gli oltre 780mila italiani (di cui un terzo laureati e per il 51% con un’età compresa tra i 15 e i 39 anni) che, nell’ultimo decennio hanno spostato la residenza all’estero, fanno perdere all’Italia, in termini di capitale umano, circa 14 miliardi di euro l’anno, pari a un punto di Pil.
Una cifra enorme che, però, non tiene conto dei costi sostenuti dalle famiglie. Per cercare di fare luce su un tema che tocca migliaia di nuclei (secondo l’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, sono 114mila i cittadini italiani che hanno trasferito la residenza fuori confine nel 2017 e tra questi il 42% – 48.600 persone – ha tra 18 e 34 anni), il Centro Altreitalie e mammedicervellinfuga.com hanno lanciato un sondaggio online, sollecitando le famiglie a rispondere al questionario scaricabile sui siti delle due organizzazioni.
«Quella dei cervelli – spiega Maddalena Tirabassi, direttrice del Centro Altreitalie e a sua volta mamma di un expat, un giovane espatriato – è la prima migrazione italiana senza rimesse. Anzi, pesa quasi per intero sulle spalle delle famiglie. Un particolare mai preso in considerazione da nessuna ricerca e men che meno dalla politica. Per questo abbiamo lanciato il questionario, chiedendo alle stesse famiglie di dirci quanto spendono, ogni anno, per i propri figli lontani. Alla fine tireremo le somme e avremo un quadro più chiaro e completo della situazione».
Dati ufficiali non esistono, ma una rapida ricerca in rete consente, quanto meno, di farsi un’idea. Si scopre così, per esempio, che un anno di High school, corrispondente del nostro Liceo, negli Stati Uniti, precisamente in California, può costare anche 15mila euro. In questo caso lo studente è ospitato, gratuitamente, in famiglia. Ma i genitori italiani pagano 12mila euro all’associazione che mette in contatto famiglie italiane e americane. Altri 3mila euro se ne vanno in extra. Se, invece, si sceglie un’università Usa, la spesa può variare tra i 25mila e i 40mila dollari l’anno. Per l’Australia la spesa complessiva per un universitario si aggira sui 15mila euro l’anno.
Ottomila se ne vanno in vitto e alloggio, 5mila in tasse universitarie, 625 per l’assicurazione sanitaria, 375 per il visto studentesco valido tre anni e 1.300 euro circa per tornare (una volta) a trovare la mamma in Italia. Ci sono Paesi, poi, che mettono in campo politiche specifiche per attrarre gli studenti dall’estero. È il caso dell’Olanda, dove la retta universitaria costa, mediamente, 8mila euro all’anno, ma dallo Stato le famiglie degli studenti, anche non olandesi, ricevono un contributo di 5.500 euro. «L’Olanda è uno dei Paesi mano cari d’Europa», confida una mamma, che spende comunque circa 15mila euro all’anno per la figlia che studia Diritto internazionale a Maastricht. Politiche attrattive anche nel Galles, dove la retta universitaria costa 10.550 euro all’anno, ma lo studente può accedere a una procedura di rimborso, ottenendo uno sconto di 5.700 euro. In Danimarca, invece, le università sono gratuite per tutti gli studenti dell’Unione Europea, che possono usufruire anche di borse di studio, oltre che di biblioteche e internet gratis. Il costo della vita si aggira sui 670 euro al mese e comprende cibo, vestiario, affitto, trasporti e materiale scolastico. «Mandare un figlio a studiare all’estero – chiosa Brunella Rallo, madre e nonna di expat e fondatrice del blog delle mamme, che conta oltre settemila partecipanti alle discussioni – è certamente un sacrificio per tante famiglie, ma è anche motivo di grande orgoglio.
Grazie ai figli, molti genitori hanno visitato nuovi Paesi e imparato lingue straniere. Certo, tanti sono davvero arrabbiati, perché non vedono politiche in grado di trattenere in Italia questi ragazzi. Che, comunque, rappresentano il nostro Paese nel mondo. A parte la detrazione fiscale del 19% delle tasse universitarie all’estero, non abbiamo nulla. Per questo abbiamo chiesto alle famiglie quanto spendono. Perché lo sappia anche la politica».
Fonte: Paolo Ferrario/Avvenire | SanFrancesco.it