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I videogiochi sono un impero con ancora troppe ombre

Dobbiamo farcene una ragione: sempre più persone passano ore sui videogiochi. Secondo i numeri forniti dall’Aesvi, l’Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani, «in Italia 17 milioni di persone (molti adulti compresi) hanno giocato almeno una volta negli ultimi 12 mesi; di questi il 59% erano uomini e il 41% donne». E ancora: «Il giro d’affari del settore ha sfiorato in Italia, nel 2017, il miliardo e mezzo di euro».
Per capire la vastità di quello che molti considerano solo un passatempo per ragazzini, nel mondo il valore del mercato dei videogiochi ha toccato nel 2017 i 116 miliardi di dollari, con una crescita del 10,7% rispetto al 2016. Se consideriamo che l’anno scorso il mercato mondiale del cinema ha fatturato 40,7 miliardi di dollari, quello dei videogiochi vale ormai quasi il triplo.
Torniamo ai dati italiani resi noti da Aesvi (qui trovate il rapporto completo). «Il 45% degli intervistati per la ricerca gioca ogni giorno. Per una media di 8,3 ore a settimana con la console (Ps4, Xbox e affini), 6,4 ore a settimana su smartphone e tablet, e 4,3 ore a settimana su PC». Il genere preferito dagli italiani è «l’action (quello che viene comunemente definito «sparatutto» (dove si uccidono centinaia di nemici)». Per Aesvi, «il 30% dei giochi venduti in Italia nel 2017 era di titoli vietati ai minori di 18 anni, a causa del tasso di violenza contenuto». Su questo punto, però, la ricerca non aggiunge nulla. E per mitigare le paure di mamme e papà sottolinea «che il 67% dei genitori (tra quelli intervistati) gioca con i propri figli»; il 40% lo fa «perché è un’attività divertente per tutta la famiglia», il 25% «per monitorare i videogiochi a cui giocano i figli», il 38% «per passare del tempo con i ragazzi».
Se anche non pensassimo che questo rapporto sia un po’ sbilanciato a favore dei produttori, dopo averlo letto resta una domanda cruciale: ma i videogiochi, soprattutto quelli violenti, fanno bene o male? A dare retta a J.C. Hertz e al suo libro Il popolo del joystic. Come i videogiochi hanno mangiato le nostre vite, c’è da riflettere. «Le ore passate a videogiocare hanno modificato il nostro modo di pensare, mangiando parti importanti delle nostre vite». Il libro della Hertz, però, è di qualche anno fa e da allora molte cose sono cambiate. La più importante, dal nostro punto di vista, è che non esiste ancora una ricerca veramente affidabile sui danni prodotti dai videogiochi.
È vero che, secondo il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Montreal e quello di Psichiatria della McGill University, «i giochi di azione portano ad una contrazione dell’ippocampo», cioè riducono la massa del cervello. Ma lo studio, pubblicato da Molecular Psychiatry, ha suscitato la perplessità di esperti come Massimo Tabaton, che insegna neurologia all’Università di Genova.
Stessa cosa per il rapporto tra videogiochi violenti e l’aumento di aggressività in chi gioca con questi titoli. Ci sono ricerche che confermano questa tesi e ricerche di segno opposto. Un recentissimo studio della University of York sostiene che «i videogiochi, anche quelli vietati ai minori di 18 anni, non spingono le persone a diventare violente».
Ancora una volta, insomma, siamo soli davanti ad un fenomeno enorme e in crescita esponenziale (grazie soprattutto a telefoni e tablet). A questo punto la strada più semplice sarebbe quella di affidarci a ricerche parziali che confermino i nostri pregiudizi (negativi o positivi) sui videogiochi, così da poter dormire sonni tranquilli (per la serie: se l’ha detto la scienza…).
In attesa che con il tempo si faccia luce su troppe ombre e su troppe ricerche che dicono tutto e il contrario di tutto, forse ci conviene puntare sul buon vecchio buon senso. Quello che ci dice che gli eccessi non vanno mai bene. Vale per le troppe ore passate a videogiocare come per gli eccessi di entusiasmo o di paura. Noi dobbiamo vigilare e accompagnare. Giocare, quando possibile, con i nostri figli e fidarci un po’ di più di loro.

Fonte: Gigio RANCILIO | Avvenire.it

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