Alla base della logica e della retorica deve esserci l’arte del pensare e del ragionare. Ma la scuola educa davvero a pensare e a ragionare?
Oggi, nella scuola, la retorica è spesso ridotta allo studio delle figure retoriche, a quella che è una componente dell’elocutio, ovvero l’ornatus, un solo pezzo di quel gigantesco puzzle che è la disciplina. Chi studia le tecniche di mnemonica a scuola? Non solo non si studiano, ma sempre più si ritiene inutile far apprendere a memoria poesie e versi. Lo studente si iscriverà più tardi ad uno dei tanti corsi che promettono di far acquisire memorie prodigiose. Chiunque insegni o svolga attività in cui è centrale il rapporto con un uditorio sa bene quanto sia incisiva l’esposizione degli argomenti senza consultare appunti o libri. Chi parla deve possedere una memoria che gli permetta di esporre senza far riferimento al testo scritto o alla scaletta.
Tra le discipline di un Liceo attuale è contemplato l’italiano inteso, per lo più, come storia della letteratura al triennio. Al biennio lo studente affronta la teoria della comunicazione, i testi letterari (dalla novella alla poesia), si crea un’infarinatura di figure retoriche da ritrovare in una poesia. Questo accade nei migliori dei casi. Il ragazzo si chiederà, allora, quale sia il fine del rintracciare le figure retoriche in un testo poetico. Gli apparirà come un gioco più o meno piacevole o gli sembrerà un’assoluta perdita di tempo, senza senso e alcuna utilità.
Ma, mi chiedo io, se il ragazzo fosse posto di fronte all’evidenza che l’uso della retorica e la facoltà di persuasione sono fondamentali nella quotidianità, vengono utilizzate in modo consapevole o inconsapevole, se lo studente avvertisse il fascino di saper parlare e scrivere bene, forse non percepirebbe come insostituibile lo studio della disciplina retorica a scuola?
La retorica non coincide con l’italiano del biennio o con la storia letteraria del triennio, non può neanche essere affrontato in maniera ridotta e parziale all’interno di queste discipline. Dovrebbe essere introdotta come disciplina a sé stante.
Intendiamoci, però. Concordiamo con il massimo retore latino di tutti i tempi, ovvero Cicerone. La retorica, pur se studiata a sé, non è svincolata dagli altri saperi. Il buon retore deve avere una salda cultura, la più ampia possibile, deve amare la saggezza e la verità. Altrimenti potrebbe avvalersi delle sue abilità suasorie per fini cattivi. Cicerone era ben consapevole della veridicità del detto attribuito a Catone il Censore «rem tene, verba sequentur», (ovvero «conosci gli argomenti, le parole seguiranno»). Non è possibile separare, come sostiene la prassi pedagogica contemporanea, la competenza dalla cultura. Il saper fare viene acquisito attraverso l’apprendimento di un sapere. Ancora una volta, la contemporaneità fa rima con specializzazione e separazione.
Un tempo non c’era la parcellizzazione del sapere, ma un particolare come le figure retoriche (l’ornatus) era collegato al senso più complessivo del saper ben parlare e ben scrivere, cioè saper colorire l’espressione. La cultura di un tempo sapeva tenere assieme il dettaglio con il suo significato e la sua funzione. Oggi la specializzazione e la settorializzazione degli studi rischiano di perdere di vista il disegno più complessivo.
Per verificare se quanto affermato fin qui abbia un fondamento facciamo un piccolo sondaggio. Chiediamo ad alcuni ragazzi del triennio che cosa sia la retorica e che cosa sia la logica. Chiediamo loro dove e in quali discipline a scuola vengano applicate logica e retorica. Infine, chiediamo loro quale sia la differenza tra «persuadere» e «convincere». L’esito del sondaggio ci direbbe che la maggior parte degli studenti di un Liceo non sa esattamente cosa siano logica e retorica.
Ma allora, come può un ragazzo scrivere e parlare bene se non conosce le due discipline che sono alla base di un discorso consequenziale, logico e ben scritto?
La logica ha come fine «convincere». «Convincere» significa dimostrare una tesi partendo da dati, ipotesi di partenza considerate veritiere, utilizzando passaggi che siano consequenziali e strettamente vincolati tra loro (il verbo latino «vincio» ha il valore di «avvinghiare», «tenere legato»). Se sono veritieri i dati di partenza, anche il discorso sviluppato con logica avrà i caratteri della veridicità.
La retorica, invece, ha come fine la persuasione, che non è di necessità collegata alla verità e alla bontà del contenuto. Si può persuadere qualcuno anche a compiere crimini efferati.
Alla base della logica e della retorica deve esserci l’arte del pensare e del ragionare. Ma la scuola educa davvero a pensare e a ragionare?
Ritengo giusto dirlo, non come provocazione, ma perché ne sono profondamente convinto: propongo al prossimo Ministro della Pubblica istruzione di riformare la scuola ritornando alla vera formazione e alla cultura. Ritorniamo ad una scuola seria, che formi, che dia cultura, che educhi! Invece di continuare a togliere ore all’italiano, al latino, alla storia nella convinzione che gli studenti italiani non conoscano la matematica e la fisica per il numero limitato di ore (è un’ingenuità pensarlo, le ragioni sono ben diverse e più complesse), si dovrebbe introdurre nuovamente la disciplina della retorica in qualsiasi scuola superiore e anche all’università.
Non è una disciplina nuova, ma una delle più antiche, che è stata eliminata dal percorso di studio e non comprendo quali siano le ragioni.
Tutti gli insegnanti (senza distinzione di disciplina), in qualsiasi ordine di scuola, dovrebbero avere competenze retoriche e non soltanto specifiche inerenti la loro materia. Forse sono secondarie la capacità comunicativa e la chiarezza espositiva nell’insegnamento?
La retorica non può essere sostituita dalla storia letteraria del triennio né tantomeno dall’abbuffato quanto indigesto studio dei generi letterari del biennio che spesso sgretola le opere e le utilizza per far acquisire competenze, ma spesso crea disaffezione nei ragazzi per la letteratura e l’arte.
Fonte: Giovanni Fighera | LaNuovaBQ