Famiglia è una parola che non può mancare in un programma elettorale che si rispetti. Le elezioni politiche del 2018 hanno ovviamente confermato questa regola. Ma c’è un’altra consuetudine, meno felice, che l’ultima tornata elettorale ha rispettato in pieno, nonostante il forte elemento di novità emerso dalle urne: quando è il momento di governare, la prima cosa che si sacrifica è proprio la famiglia. Il “Contratto per il governo del cambiamento” sottoscritto da Lega e Movimento 5 Stelle non si è sottratto alla logica del tradimento delle promesse. Se si guarda a ciò che è rimasto di quanto annunciato prima del voto, la parte più ridimensionata riguarda proprio il sostegno alla natalità.
L’aspetto paradossale è che all’inizio i programmi di Lega e M5s erano molto diversi tra loro, con una sola eccezione: la voce famiglia. La distanza sul resto dei temi era tale che l’esito elettorale ha fatto emergere la rappresentazione di un’Italia divisa in due, con aspirazioni in parte caricaturali e apparentemente inconciliabili da un punto di vista economico: un Nord che lavora ed è interessato a pagare sempre meno tasse, e un Sud impoverito e inoperoso ansioso di percepire un reddito di cittadinanza. Niente di più sbagliato: la magia di mantenere in equilibrio “Flat tax” e rendita mensile alle persone inattive sembra avere superato (sulla carta) anche lo scoglio delle ingenti risorse che servirebbero a finanziarle; mentre una cosa certo impegnativa ma più “semplice”, perché già condivisa e largamente sostenibile, ossia il varo di un grande piano per la Famiglia, è stata abortita.
Vediamo perché. Nei due programmi depositati, dunque quelli validi al di là degli annunci, sia la Lega (al punto 7), sia il M5s (punto 11), in capo a una serie di misure di contorno parlavano di una grande riforma fiscale per la famiglia, richiamando espressamente il modello francese del “Quoziente familiare”. Nel Contratto questa promessa è scomparsa. Si parla invece di welfare familiare sul territorio, di asili nido gratuiti solo per le famiglie italiane, di qualche politica per favorire la conciliazione vita-lavoro delle donne, di “premi” per le madri e sconti sui prodotti della prima infanzia. Del Quoziente fiscale nessuna traccia.
Prima del voto quasi tutte le forze politiche si erano impegnate con il Forum delle Famiglie sottoscrivendo il “Patto per la natalità”, impegno trasversale a imprimere una svolta in questo ambito. Il Quoziente – o il Fattore Famiglia, che meglio si addice alla realtà italiana – avrebbe dunque potuto rappresentare la riforma fiscale necessaria a riconoscere che chi mantiene più figli sopporta maggiori costi ed è quindi giusto paghi meno tasse rispetto a oggi.
Una misura importante, oltretutto, per tentare di contrastare il declino demografico che sottrae ossigeno all’Italia che verrà. L’obiezione all’idea che si possa parlare di una “promessa tradita” già la si conosce: l’introduzione della Flat Tax, con due sole aliquote al 15 e al 20%, porterebbe una riduzione fiscale assai generosa per tutti. È vero? In realtà la “tassa piatta” non distingue tra chi ha figli e chi no, premia soprattutto i redditi più elevati, mentre le previste deduzioni fiscali sulla base del reddito familiare concesse ai genitori avrebbero la consistenza di un’elemosina.
Di grandi piani per riempire le culle e ridare slancio alla demografia asfittica del secondo Paese più vecchio al mondo, insomma, finita la campagna elettorale, non se ne vedono già più. E non è solo una questione di risorse stanziate: c’è un dato culturale di fondo che emerge dal “contratto” e allunga un’ombra sull’idea di Famiglia immaginata. Il termine “conciliazione”, ad esempio, è declinato solo al femminile, come se l’unica funzione dei papà fosse quella di procurare il nutrimento alla prole e accontentarsi di osservare i figli mentre dormono. Ma in che epoca siamo? Gli asili nido gratuiti solo per gli italiani rappresentano poi qualcosa di ancora più inquietante, perché si introduce una discriminazione alla nascita che non trova giustificazioni: è possibile penalizzare in partenza un bambino che viene al mondo nel nostro Paese, compromettendo le sue possibilità di crescita e integrazione? Non si promuove la famiglia selezionando le famiglie.
La quadratura di un’intesa che nasce sacrificando genitori e figli si completa nell’idea che a finanziare gran parte delle mirabolanti promesse su altri capitoli sia ancora una volta la convinzione di poter spendere in deficit, cioè trasferendo sul futuro il costo delle riforme. E qui spiace constatare come il nuovo che avanza dimostri, al di là dei vincoli europei, di non aver compreso una delle più chiare lezioni della storia recente: il vero furto di futuro, lo scippo che ha sottratto risorse ai giovani e alle famiglie di oggi, non è opera di un nemico esterno, né di una popolazione straniera. Ha invece il profilo delle categorie tricolori che depredano risorse al fisco e possono continuare a farlo, delle riforme previdenziali nazionali che hanno penalizzato le generazioni successive, della fiscalità tutta italiana che favorisce rendite e patrimoni al posto del lavoro. O di quel pragmatismo miope che ai politici sconsiglia sempre di favorire i giovani e le famiglie, considerato che il Paese che vota è sempre più anziano. Solo una domanda: c’è ancora spazio per cambiare?
Fonte: Massimo Calvi | Avvenire.it