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Scienza e fede, e se fossero COMPLICI?

L’incontro e il “cospirare” insieme verso il raggiungimento di un comune obiettivo sta in due parole importanti: verità e carità. Ma potrà funzionare solo a una condizione: che a guidarle sia l’amore per ogni essere umano

Il termine complicità fa pensare all’idea di “cospirare” insieme verso il raggiungimento di un comune obiettivo. Per comprendere di quale obiettivo possa trattarsi, occorre riferirsi ad un’altra possibile complicità: quella fra fede e ragione. Nella sua opera De vera religione,sant’Agostino scrive che «la fede non è mai senza la ragione, perché è la ragione che ci dice a chi bisogna credere…». All’inizio del suo vangelo, san Luca ci dice di aver fatto studi accurati, diremmo noi oggi un’analisi storico-razionale, per raccogliere dati e riferire sulla vita e gli insegnamenti di Gesù di Nazaret. Il cristianesimo ha cercato la complicità della ragione quando ha incontrato la cultura filosofica del suo tempo. Oggi, però, sembra essere cambiato qualcosa: la ragione è soprattutto la ragione scientifica, e lo è anche per l’uomo della strada. In realtà, la ragione scientifica deve entrare nelle nostre convinzioni di fede, perché nessuno può credere qualcosa che contraddica la ragione o i risultati acquisiti delle scienze. Ciò che è sopra la ragione non deve essere contro di essa. Credere che il mondo sia stato creato da Dio trascende la ragione scientifica, ma ritenere che l’essere umano sia comparso sulla terra 6.000 anni fa la nega,sbagliando.Potremmo anche chiederci se la ragione scientifica può essere complice della fede entrando nel lavoro teologico. La risposta non può che essere affermativa: una buona teologia deve conoscere i risultati delle scienze e tenerne conto; deve saper parlare di Dio all’uomo di oggi anche partendo dal contesto scientifico e tecnologico in cui egli vive. Dal canto suo, anche la teologia può offrire la sua complicità alle scienze. Essa, storicamente, ha dato molto al lavoro scientifico. La fede in un Dio creatore ha favorito l’idea che la natura fosse razionale, ordinata, retta da leggi, e dunque la si potesse studiare con successo; ha contribuito a considerare il mondo creato in modo autonomo da Dio, rendendolo disponibile all’osservazione oggettiva e al metodo induttivo. La fede cristiana ha inoltre favorito l’idea che il creato fosse l’effetto di una Parola intelligente, intenzionale; recava con sé un significato che lo scienziato poteva comprendere: il mondo non è solo materia ed energia, ma anche informazione, messaggio rivolto all’uomo, logos che può essere riconosciuto e decodificato. La fede cristiana, vedendo in ogni essere umano l’immagine di Dio, ha “cospirato” costruttivamente con la scienza. La narrazione della Genesi presenta l’uomo e la donna come collaboratori di Dio in una creazione ancora in statu viae; tale collaborazione è proprio ciò che conferisce senso al progresso scientifico e tecnologico, come parte del mandato ricevuto dal Creatore di umanizzare la terra. La storia ci ha trasmesso tracce eloquenti della complicità fra fede cristiana e conoscenza scientifica. Basti pensare alle università e agli ospedali, sorti dal cuore della società cristiana. John Henry Newman diceva che queste due imprese erano state mosse dalla carità: le università dall’amore alla verità e gli ospedali dall’amore all’uomo. Avendo lavorato per molti anni come astronomo, mi piace aggiungere una terza traccia di questa complicità: gli Osservatori astronomici. In Italia, sorti fra fine ’700 e inizio ’800, sono stati tutti promossidalla Chiesa cattolica, spesso all’interno dei suoi seminari.

La storia dell’incontro fra fede e scienza fa dunque entrare subito in gioco due parole importanti: verità e carità. Sono queste le motivazioni più profonde che giustificano una loro possibile complicità e, storicamente, l’hanno realizzata. È questo il comune obiettivo per raggiungere il quale, fede e scienza possono “cospirare”.

Affinché tale complicità riesca, però, ambedue devono rispettare alcune condizioni. La scienza deve sapersi riconoscere comeimpresa di verità, prendendo le distanze dalle ideologie e da una visione puramente convenzionale dei suoi risultati. Essa deve anche riconoscersi come impresa di servizio. Lo scienziato, proprio perché sa di più, deve servire di più. Se la scienza cerca la verità e il servizio all’uomo non potrà che cospirare con la fede cristiana, affinché questa verità sia conosciuta e questo servizio attuato. La fede, dal canto suo, deve saper diventare cultura, cioè inculturarsi, acquisire il linguaggio e le sensibilità degli uomini e delle donne di scienza, assumere su di sé la loro carne, come Cristo ha fatto con la nostra umanità, lavoro compreso. Non è un caso che i contemporanei di Gesù, riferendosi alla sua vita di lavoro e al mestiere appreso da Giuseppe, si chiedano: «Non è costui il figlio del tecnico?» (Mt 13,55). La complicità fra fede e scienza potrà funzionare solo se guidata dall’amore verso ogni essere umano, alla sua verità e alla sua vita. Ambedue sono rette dal comune desiderio di liberarlo dalle tenebre dell’ignoranza, alleviandone i mali fisici e morali che indeboliscono la sua esistenza. Il progresso scientifico sta compiendo grandi sforzi per migliorare la qualità della vita dell’uomo sulla terra, il suo habitat, la sua salute, ma anche la sua cultura e proteggere la sua dignità morale. La fede cristiana incoraggia questo sforzo e lo vede parte della missione del cristiano sulla terra, ricordando però alla scienza che solo la carità può trasformare il progresso scientifico in autentico progresso umano.

Fonte: Giuseppe TANZELLA NITTI | Avvenire.it

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