Domani martedì 29 maggio 2018 alle ore 18 presso il Museo Amedeo Lia, Pierluigi Peracchini, Sindaco di la Spezia, e Paolo Asti, assessore alla cultura, invitano alla presentazione del nuovo libro di Luca Dominelli intitolato Una gratitudine senza debiti. Giovanni Testori, un maestro con Alessandro Zaccuri e Giuseppe Frangi;
All’incontro sarà presente l’autore Luca Dominelli.
L’appuntamento è per L’incontro è organizzato in concomitanza con la mostra (In)croci. La passione di Cristo secondo Giovanni Testori, a cura di Davide Dall’Ombra e Andrea Marmori.
Cos’ha insegnato Giovanni Testori a Luca Doninelli?
“Giovanni Testori mi ha insegnato a difendere, magari in un modo che può apparire talvolta irritante e scandaloso, la dignità di ogni singolo essere umano, sia pure il più turpe e indifendibile. Mi ha insegnato che un uomo comincia a essere ‘qualcuno’ solo se ha avuto il coraggio di sperimentare e affrontare il niente che è. Mi ha insegnato ad amare e cercare sempre, nell’arte come nella vita, il segno della grazia. Infine, mi ha insegnato a fare tutto ciò non a modo suo, ma a modo mio”.
Un’educazione morale, prima ancora che culturale, riscoperta attraverso il rapporto, gratuito e reciprocamente gratificante, instauratosi tra discepolo e maestro, come quello che poteva stabilirsi nella “paideia” degli antichi greci.
La dichiarazione di intenti di “Una gratitudine senza debiti” viene esplicitata già nell’introduzione:“Io credo nei maestri, e credo che un mondo senza maestri sia un mondo assai poco desiderabile, un mondo più prevedibile, più mesto. Se accetta di sostituire la gratuità di un magistero con l’ingegneria sociale, con la biopolitica delle coscienze o con la robotizzazione generale, allora l’umanità merita di estinguersi”.
Luca Doninelli rende omaggio, dunque, in “Una gratitudine senza debiti”, non solo alla figura di Testori, autore teatrale, romanziere, poeta e critico d’arte, suo mentore letterario e maestro di vita e di fede, ma anche a un’idea di guida interiore che sappia indicare il percorso da seguire, umilmente e autonomamente, per arrivare a costruirsi come persona e come scrittore.
Chi ama e ammira Giovanni Testori (1923-1993), in queste pagine avrà modo di situarlo negli snodi essenziali della sua esistenza e della sua produzione artistica, oltre che nel suo contributo civile durante gli anni tormentati vissuti dal nostro Paese dal dopoguerra in poi.
Luca Doninelli lo conobbe nel 1978, nel corso delle terribili giornate del sequestro di Aldo Moro. Era allora un ventiduenne
“presuntuoso, con la testa piena di letteratura e di una passione di cui lui stesso ignorava la forza”
affascinato parimenti da Kerouac e Landolfi, da Barthes, Pasolini e Don Giussani. Testori lo invitò nel suo studio di Via Brera («Luca Luca», salutandolo come in un battesimo), lesse i suoi racconti e gli pronosticò un futuro di scrittore e di sofferta inquietudine.
Il Giovanni Testori con cui il giovane Luca Doninelli si misurò era un uomo caratterizzato da
“uno snobismo senza limiti”
che prendeva il taxi per recarsi nell’amatissima Parigi, ma scoppiava a piangere davanti al dolore innocente di sconosciuti. Un cristiano che non rinnegava la propria omosessualità, ed esaltava il corpo e la carne
“come luogo di salvezza e perdizione”.
Uno a cui piacevano i malati, i feriti, i segnati da qualche ombra. Un intellettuale che non si definiva tale, e combatteva il nichilismo di facciata dei salotti dell’intellighenzia italiana. Un maestro, soprattutto, generosissimo nel darsi ai giovani che gli chiedevano indicazioni e suggerimenti su letture, mostre, modalità di scrittura, e che venivano da lui esortati a lavorare severamente sul testo, studiando, confrontandosi con la realtà, ulcerandosi in essa.
Ecco quindi che l’uomo Giovanni confessava al suo «Luca Luca» anche i propri cedimenti e le perdite, lo strazio per la morte della madre, la depressione, la tentazione del suicidio, la conversione a un cattolicesimo che tutto accetta e tutto perdona. Insieme ai lati negativi che riconosceva in sé stesso: l’adesione al potere berlusconiano, la vanità, l’egocentrismo, un’infantile spietatezza.
Pregi e difetti che ogni maestro e ogni discepolo sanno di non doversi nascondere, quando i ruoli nell’intrecciarsi diventano vicendevolmente arricchenti.
Fonte: Alida Airaghi | SoloLibri.net