Pubblicati gli atti del convegno promosso nel 2017 dalla Pontificia Università della Santa Croce sullo scrittore russo. Una voce che interpella l’uomo di ogni tempo.
A cento anni dalla Rivoluzione russa, all’inizio del XXI secolo, Dostoevskij continua a interpellare l’uomo contemporaneo, a farlo riflettere, mettendolo in crisi, ma anche infondendogli speranza: è questo il messaggio che trapela da Dostoevskij e il mistero, il volume che raccoglie, pubblicati a cura di Federica Bergamino, gli atti del convegno tenutosi il 27 e 28 aprile 2017 nella Pontificia Università della Santa Croce, organizzato dal Seminario permanente interdisciplinare Poetica & Cristianesimo (Edizioni Santa Croce, 346 pp.).
Molte e dotte sono le relazioni che si sono susseguite, a partire dai due interventi di apertura, quello di Lubomir Zak, della Pontificia Università Lateranense, “Il romanzo come teologia”. Pensare e dire la fede in dialogo con Dostoevskij”, e quello di Tat’jana Kasatkina, dell’Istituto di letteratura mondiale dell’Accademia Russa, che si è invece concentrata su “Gli Scritti dal sottosuolo come testo cristiano: osservando il testo da un’altra prospettiva”.
La prima relazione esamina la problematica relativa alle motivazioni per cui Dostoevskij non può essere un teologo vero e proprio: per prima cosa egli non ha mai adoperato la terminologia teologica, né aveva alcuna pretesa teologica in senso stretto. Ciononostante, “non si può negare che l’opera di Dostoevskij, solitamente definito ‘filosofo’ o ‘pensatore religioso’, abbia un’impostazione non solo filosofica, ma anche e prima di tutto teologica”, essendo costruita sulla più importante fra le questioni teologiche, ovvero quella inerente la creatura che si ribella al suo Creatore, ed essendo anche orientata a testimoniare una grande idea e realtà: la Chiesa come ideale più alto della società”.
Dopo la relazione di Adriano Dell’Asta, già anticipata su ilsussidiario.net (“Tra estetismo e utilitarismo, i princìpi di una logica nuova in Dostoevskij“), non è possibile soffermarsi su tutte le relazioni e comunicazioni, che si sono per lo più concentrate su Delitto e Castigo e su I Fratelli Karamazov, e in particolare sulla Leggenda del Grande Inquisitore: vediamo qui, per esempio, la relazione di Antonio Malo e quella di Giulio Maspero, Misericordia e laicità: il valore teologico del popolo ne I fratelli Karamazov.
A un ambito poco noto della produzione dostoevskiana, e cioè i racconti, che spesso sono l’ultima opera di questo autore che si arriva a leggere una volta esauriti i grandi romanzi, è dedicata la breve, ma originale comunicazione di Carla Rossi Espagnet, “Amore e matrimonio nei racconti di Dostoevskij”. Qui l’autrice, dopo aver delineato brevemente il rapporto fra amore e matrimonio nella cultura romantica, conclude con una domanda in fondo ancora attuale: amore e matrimonio possono ancora andare insieme? In Dostoevskij il rapporto uomo-donna viene raffigurato nei Racconti nel suo limite, costituito dalla povertà oppure dall’assenza tout court dell’amore, e per questo ha sempre un che di disumano, ed è votato al fallimento, che si configura come infelicità esistenziale: l’autore, infatti, sa scavare nella miseria d’animo dei personaggi dei suoi Racconti, una miseria in parte certo causata dalla povertà materiale, ma anche e soprattutto determinata dall’avidità e dall’orgoglio. In questo modo denuncia la retorica che sovrintendeva al matrimonio in certi contesti, ma anche l’apparenza della felicità: tutto ciò serve a Dostoevskij per sottolineare come il cuore umano non possa accontentarsi dei surrogati dell’amore.
Ma la parte forse più interessante del volume sta nei Dialoghi, trascrizione delle conversazioni fra relatori e domande del pubblico. Fra essi, vale la pena di segnalare la Tavola rotonda “Vita e letteratura”, in cui Alessandro Rivali, giornalista e poeta, autore della Caduta di Bisanzio, dialoga con due romanzieri, Eraldo Affinati e Alessandro D’Avenia, accomunati dalla passione pedagogica ed educativa; che, del resto, è propria anche di Dostoevskij: siamo così sollecitati a pensare che la letteratura serve a intensificare l’esperienza, ad aggiungere, non a togliere, e ogni scrittore e insegnante deve sentire la responsabilità della parola, proprio come la sentiva Dostoevksij: è raro sentire le voci di due scrittori parlare di sé così approfonditamente, e questo rappresenta forse il valore aggiunto di questo bel volume.
Fonte: Silvia STUCCHI | IlSussidiario.net