Gli aborti diminuiscono solo nei Paesi più sviluppati. E chi li censisce su scala globale spinge per «nascondere» la pratica
È una delle «principali organizzazioni di ricerca e politica, impegnata a promuovere salute e diritti sessuali e riproduttivi negli Stati Uniti e nel mondo»: è il Guttmacher Institute, nato nel 1968 grazie all’allora presidente della Planned Parenthood Federation (la potente ong americana, bandiera pro choice per eccellenza), il ginecologo Alan Frank Guttmacher, che fu anche vice presidente della American Eugenics Society. Un think tank della salute sessuale e riproduttiva affrontata nell’ottica di controllo delle nascite mediante contraccezione e aborto: indicativa la voce pregnancy (gravidanza) nella home page international del sito, che tratta «l’incidenza, le conseguenze e i costi delle gravidanze non volute » a livello globale, al fine di promuovere «politiche e strategie che consentono alle donne di programmare e distanziare le loro gravidanze ». Le altre voci sono «aborto, contraccezione, Hiv e Stis (malattie sessualmente trasmissibili), adolescenti», e in questi temi è la «fonte primaria di ricerca e analisi politica negli Usa e internazionalmente». I suoi uffici, fra Washington e New York, ospitano «più di 100 fra demografi, specialisti in scienze sociali, analisti di politica pubblica, editori, scrittori, esperti di comunicazione, personale tecnico e finanziario», con un budget annuale di circa 20 milioni di dollari. È la fonte più importante di dati sull’aborto, a livello internazionale, anche se le contestazioni non mancano, come quella del Washington Post Fact Checker che ha sottoposto il prestigioso istituto al ‘Pinocchio test’, verificando una sopravvalutazione delle stime degli aborti negli Usa, poi corrette.
«Abortion worldwide 2017 – Uneven progress and unequal access » è il titolo dell’ultimo report sul tema, che dà l’idea delle tendenze internazionali in atto, con una chiara chiave di lettura dei dati: la legalizzazione dell’aborto è segno di progresso, ma c’è ancora molto da fare per rendere ugualmente legittimo e accessibile questo ‘servizio’ nel mondo.
Una prospettiva ‘di parte’? Sì. Ma bisogna osservare che il mondo pro life, impegnato principalmente nel concretissimo e meritorio sostegno alle donne nel continuare le gravidanze in condizioni di difficoltà, non ha espresso un analogo centro studi in qualche parte del mondo. Non sono stati costruiti spazi di riflessione di questa portata sul tema, e quindi di raccolta ed elaborazione dati per capire gli orientamenti e le tendenze a riguardo: non solo per contrastare le politiche pro-aborto ma anche per disegnare interventi più efficaci per le maternità difficili e per proposte educative adeguate ai tempi. C’è da riflettere.
I dati offerti da questo report sono tantissimi, ne riportiamo solo alcuni per ovvi moti- vi di spazio. Il confronto fra gli anni 20102014 con le cifre sul periodo 1990-1994 mostra un numero assoluto di aborti in aumento – da 50,2 a 55,9 milioni ogni anno – e un tasso di abortività in diminuzione – da 40 a 35 (numero annuale di aborti ogni 1.000 donne fra 15 e 44 anni), con una diminuzione importante nei Paesi sviluppati, e senza cambiamenti significativi in quelli in via di sviluppo.
L’apparente contraddizione fra numeri assoluti e tassi si spiega con l’aumento complessivo delle donne in età feconda. Va poi sottolineato che i tassi sono inferiori nei Paesi sviluppati, dove le statistiche sono complete e istituzionali, e superiori in quelli in via di sviluppo, dove invece spesso ci sono stime indirette e quindi meno accurate. Il report lo spiega correttamente, rimandando alla letteratura di settore ma, ovviamente, sono considerazioni per gli addetti ai lavori, e senza studi comparativi questa è l’unica ipotesi di lettura a disposizione.
Il calo nei Paesi sviluppati – che pesa meno, numericamente, anche se importante in percentuale – è dovuto principalmente ai Paesi dell’ex blocco sovietico, correttamente attribuito a una maggiore diffusione della contraccezione. Va ricordato però che in Unione Sovietica e nei Paesi satelliti l’aborto era utilizzato come contraccettivo: ad esempio, nell’Europa dell’Est negli anni ’90-’94 il tasso era 88, da confrontarsi con quello italiano che negli stessi anni era intorno a 10. In queste condizioni la diffusione della contraccezione ha un impatto importante, ma non va dimenticato che mentre adesso quel tasso nell’Europa orientale è sceso a 42 in Italia nello stesso periodo è circa 7,5. Si tratta cioè di due situazioni drasticamente differenti, nelle quali la contraccezione influisce diversamente: ad esempio, è proprio nell’ultima relazione al Parlamento che uno studio Istat dedicato alla lettura dei 40 anni di applicazione della legge 194 in Italia rivela come la maggiore diffusione della pillola contraccettiva fra le minori in Paesi con cui di solito ci confrontiamo (Svezia, Inghilterra e Francia) corrisponde a maggiori tassi di abortività rispetto a quelli italiani.
Va inoltre chiarito che nel report nulla viene detto sull’uso specifico della cosiddetta ‘contraccezione di emergenza’, che è noto poter agire sia come contraccettivo che come antinidatorio, e la cui diffusione andrebbe considerata per valutarne l’incidenza.
Emerge infine la spinta, fortissima, all’uso di metodi farmacologici: aumentano nel mondo, in proporzione, gli aborti nelle primissime settimane di gravidanza ‘grazie’ alla diffusione della procedura medica in luogo di quella chirurgica. Laddove non fosse disponibile la modalità ‘combinata’, con la pillola Ru486 in funzione antinidatoria e poi con prostaglandine per la successiva espulsione dell’embrione, si consiglia l’utilizzo del solo misoprostolo, una prostaglandina facilmente reperibile perché commercializzata per problemi gastrici. Un uso consigliato là dove l’aborto ha forti restrizioni, per rendere quello clandestino meno pericoloso, secondo gli autori, anche se – si ricorda – l’aborto sarà completo solo nel 75% – 90% dei casi, se nel primo trimestre. Non si specifica nient’altro sulla procedura e su effetti avversi e collaterali, citando invece uno studio che dimostrerebbe la pari sicurezza di abortire in clinica e «nella privacy della propria casa», anche con il solo misoprostolo. La tesi, neanche troppo implicita, è che se tutte fossero bene informate e potessero disporre facilmente di farmaci abortivi potrebbero farlo senza problemi a casa propria. E, aggiungiamo noi, il mondo non lo saprebbe mai, così che l’aborto diventerebbe invisibile.
Fonte: Assuntina MORESI| Avvenire.it