Le teorie rivoluzionarie della filosofa americana Ann Margaret Sharp: «La conoscenza è una costruzione sociale, non il prodotto di una ricerca in solitaria»
«La conoscenza è una costruzione sociale, il prodotto di una ricerca comunitaria, la partecipazione a una comunità che persegue una conoscenza imperniata sulla cooperazione poiché noi costruiamo avvalendoci di idee di altri e arriviamo poi a identificarci con le realizzazioni dell’intero gruppo». Insomma non resta che «vivere una vita di ricerca» maturando la consapevolezza che «il pensiero è una forma di dialogo interno e il dialogo presuppone una comunità, ecco una delle intuizioni fondamentali di Charles Pierce». Suona così, in estrema sintesi, il pensiero della filosofa americana dell’educazione Ann Margaret Sharp (1942-2010). Per lei solo attivando una comunità di ricerca filosofica è possibile realizzare la personalità di donne e uomini, dare origine a forme di convivenza democratiche e imparare a fare esperienza della libertà. La ricerca filosofica condotta in solitaria, davanti alle pagine di un libro, è vana illusione. Di più. Compromette la possibilità di edificare modi di convivenza democratica. Solo se la ricerca filosofica di comunità diventa habitus fin da bambini è possibile perseguire la libertà perché «si apprende – a dire della filosofa d’Oltreoceano – a porre il proprio io in prospettiva».
A diffondere questa pratica filosofica, come irrinunciabile requisito non solo per fare filosofia ma pure per diventare cittadini liberi di una democrazia, Ann Sharp ha dedicato tutta la vita. In Italia è praticamente sconosciuta se si esclude L’ospedale delle bambole e Dare senso al mio mondo, dati alle stampe quasi vent’anni fa da Liguori, testo e manuale di una parte del curricolo di Philosophy for Children. Per dirla tutta però non è che il Belpaese pecchi di provincialismo. Nel resto del mondo Sharp non ha raccolto maggior fortuna malgrado i riconoscimenti tributati, tra gli altri, da Martha Nussbaum e Howard Gardner.
A favorire una diversa fortuna non hanno certo contribuito la dispersione dei suoi lavori in una miriade di riviste di difficile reperibilità né la scelta di concentrarsi sulla pratica didattica a fianco di Matthew Lipman anziché sulla riflessione teoretica. E si sa che i filosofi, quelli con la puzza sotto il naso ovviamente, considerano con sussiego se non addirittura spregio chi si occupa di tecniche di apprendimento e insegnamento ritenendole esanimi e estranee alla filosofia.
Eppure al centro delle preoccupazioni di Ann Sharp figurano temi che abitano da sempre la ricerca filosofica. Generazione di pensiero, costruzione di comunità, ricerca della libertà. E, perché no?, promozione della democrazia. Un primo passo per rendere giustizia alla pensatrice americana ora Routledge, uno dei maggiori editori al mondo, pubblica un’importante antologia. Si tratta di In Community of Inquiry with Ann Margaret Sharp. Childhood, Philosophy and Education curato da Maughn Rollins Gregory e Megan Jane Laverty (pagine 264, euro 116,00) che comprende, oltre a molti saggi della filosofa newyorkese, anche numerosi contributi critici per coglierne tutte o molte delle sfaccettature.
Di formazione cattolica, Ann Sharp, dopo i primi interessi teologici e una appassionata frequentazione con sant’Agostino, decide di dedicarsi alla filosofia al punto da concludere, nel 1973, il suo percorso di studi universitari con una dissertazione sulla filosofia dell’educazione in Friedrich Nietzsche, dal titolo suggestivo: The Teacher as Liberator, l’insegnante come liberatore. E proprio il Solitario di Sils Maria segna un passaggio significativo nel cammino di pensiero di Ann Sharp come sottolinea Stefano Oliverio dell’Università Federico II di Napoli, in uno dei saggi critici più perspicui contenuti nell’antologia. A Nietzsche, e prima ancora a Eraclito, Sharp deve la critica al sapere inteso come accumulo di conoscenze. Come gli deve la scoperta dell’importanza dell’innocenza infantile per non farsi schiacciare dalle conoscenze pregresse. E la riconquista dello stupore infantile, della sua leggiadria e noncuranza sono «obiettivo e fine – secondo la pensatrice – dell’educazione». Solo così si coglie «la libertà – scrive Sharp – come riconquista rinnovata e ripetuta dell’attitudine del bambino verso la vita; e questo è un processo infinito senza il quale l’incapacità di creare di nuovo predomina».
Eppure il cammino educativo non è un cammino indolore. Per realizzarlo occorre «scuotere gli allievi da ogni compiacimento». E il bambino o l’uomo deve «fare esperienza – prosegue la pensatrice americana – della propria inadeguatezza per poi conquistare la necessaria sprezzatura indispensabile a iniziare la ricerca della liberazione». Solo una volta fatti i conti con la propria inadeguatezza «giovani donne e giovani uomini », grazie a una comunità di ricerca, «si preparano a confrontarsi con le forze che li assediano, a formulare giudizi su ciò che è possibile e ciò che è desiderabile, a impegnarsi in un lavoro creativo che renda – scrive Ann Sharp – il desiderabile reale portando valore e significato alle loro vite e alle vite delle loro comunità».
Fonte: Simone Paliaga | Avvenire.it