Più robot che dirigenti
Poche parole, molti numeri: partiamo da Amazon, sinonimo mondiale di successo e ricchezza. Seattle è la città americana con la maggiore concentrazione relativa di milionari, tutti prodotti con le stock option di Boeing, Microsoft e, appunto, Amazon. Ma in Italia il quadro cambia. E di molto: prendiamo una delle principali società con cui opera, la Amazon Italia Logistica. Il gruppo, in quanto a bilanci, è poco innovativo: negli archivi della Camera di commercio non carica i Pdf ma ama consegnare i documenti fotocopiati, una piccola «svista» che non permette di fare delle ricerche per parole chiave. Bisogna scartabellarsi tutto, pagina per pagina. Ma la fatica è ricompensata: su 1.845 occupati nel 2017 sapete quanti sono i dirigenti? Sette (d’altra parte erano 2 nel 2016). I quadri sono 52, gli impiegati 180, gli operai 1.606.
Perché tutte le hi-tech hanno pochi dirigenti e molti interinali?
C’è un motivo sottile: per anni queste società, per giustificare il trasferimento del fatturato e dunque degli utili in zone come l’Irlanda, l’Olanda o il Lussemburgo per eludere le tasse, hanno spergiurato di avere in Italia solo meri uffici di appoggio. Aziende come Apple, Microsoft e Google non vendono ufficialmente nulla. E non producono dunque fatturato «locale», almeno in termini ufficiali. Dunque non hanno stimolato la carriera interna verso la dirigenza proprio per evitare di essere percepite come rilevanti. Per questo motivo la web tax di cui si discute a livello europeo vuole superare il concetto di «stabile organizzazione» sostituendolo con la «significativa presenza digitale». Per lo stesso motivo l’uso del lavoro a somministrazione fa gola perché crea un doppio livello: quello effettivo, che si conosce solo all’interno, e quello percepito che si comunica all’esterno.
Il favore della legge Fornero
Come mai non se ne parla? Perché dalla Legge Fornero in poi le aziende non devono più spiegare — come avveniva prima — perché decidano di affittare il lavoro invece di assumere. L’impiego a somministrazione va solo indicato in un libro unico del lavoro che deve essere tenuto in azienda per eventuali controlli (più rari che mai oggi). Un’eccezione è quella di Google Italy Srl che conta 36 dirigenti su 205 dipendenti, una percentuale molto alta. In effetti, seppur con un business del tutto immateriale, il gruppo qualcosa vende: pubblicità online per una cifra stimata tra 1,5 e 2 miliardi l’anno. Peccato che nel bilancio ci sia posto solo per 152 milioni (ecco l’effetto del doppio irlandese: il resto va a una società residente a Dublino, senza però fermarsi come credono in molti. La maggior parte di questi miliardi passa poi a una seconda società irlandese con sede in un paradiso fiscale. Google così elude anche buona parte dell’aliquota di Dublino al 12,5 per cento. Motivo per cui non stiamo parlando di liberisti economici ma di corsari fiscali).
Alla base di tutto c’è il Fisco
Dunque: i fatturati e gli utili si involano attraverso questi meccanismi verso il Nord Europa per poi rimbalzare in taluni casi fino ai paradisi fiscali come le Cayman. Ma il risultato è che le aziende, nonostante utili record nella casa madre ottenuti propio grazie ai meccanismi predatori di concentrazione della ricchezza, licenziano localmente perché i costi (e i debiti) rimangono nelle singole country come l’Italia. Dovrebbe restare anche l’occupazione, ma sempre più di basso livello e sempre più incerta. Si interrompe così anche il patto «sociale» delle aziende che possono festeggiar: e i risultati e giustificare contestualmente i tagli. Non chiamiamoli, per favore, «investimenti».
Fonte: libertaepersona.it