In estate si riaccendono alcune querelle, come quella relativa all’utilità dei compiti delle vacanze. Per qualcuno sono obsoleti e vanno superati.
Su una pagina Facebook relativa al mio paese imperversa uno dei temi più caldi dell’emergenza educativa estiva, quello degli schiamazzi notturni. Così ogni estate: i proprietari di splendidi appartamenti in centro vorrebbero mantenere l’appartamento in centro, e al tempo stesso vorrebbero il centro vuoto, o quantomeno, silenzioso come fosse il loro giardino di casa. Così le forze dell’ordine dovrebbero essere presenti e vigili – dalla chiusura delle scuole fino al ritorno del freschetto serale – per contrastare questi giovani maleducati e incivili che la sera, invece di giocare a scala quaranta o leggere un buon libro o fare qualsiasi altra cosa, infastidiscono la loro quiete.
Niente da dire contro gli schiamazzi notturni, eh! Io sono il primo che si alza come un cane da guardia al primo colpo di tosse del vicino dopo le 23 e argomenta incarognito con la moglie sulla sua diseducazione. Più che gli schiamazzi notturni, mi fa riflettere il fatto che, ogni qualvolta si ripresenta questo tema (e cioè ogni estate), uno degli slogan più acclamati sia quello dell’emergenza educativa: “Il problema sono i genitori di oggi che invece che dare qualche sonora sculacciata in più ai figli, preferiscono aggredire gli insegnanti”. Non sono mai riuscito a capire se chi pronuncia questi anatemi sia chi ha scelto di non avere figli oppure siano persone persuase della buona fede del figlio, che, rientrando alle due di notte un po’ alticcio, si giustifica con un bonario “ero in biblioteca”. Sta di fatto che l’intensità con cui sento vivere in questi casi l’emergenza educativa mi ricorda più che altro il geniale verso di Springsteen in Blinded By The Light “do what you like but don’t do it here”: fate quello che volete, ma non qui. Che è poi il modo più educato di lavarsi le mani dell’emergenza educativa.
A fare il paio con queste edificanti discussioni, come tutte le estati, torna un’altra emozionante polemica, quella sull’inutilità dei compiti delle vacanze. E qui, senza entrare nel merito della questione, mi piace però soffermarmi sulla brillantezza delle argomentazioni proposte. In un recente articolo sul Corriere della Sera si leggono amenità esilaranti: la “pratica inutile e obsoleta” dei compiti deve essere superata perché “in vacanza ci si dedica a consolidare questi apprendimenti in un altro modo, nella vita di tutti i giorni. Senza libri e quaderni, senza obblighi. Magari contando gli ombrelloni in spiaggia o calcolando il resto per il gelato” (giuro, c’è proprio scritto così). La massima più abusata, che dovrebbe rivelare la larghezza di vedute e la pragmatica intelligenza degli insegnanti che la pronunciano, “i compiti fanno odiare la scuola”, rivela soltanto la disabitudine di tali insegnanti all’ingrediente meno attraente ma “più indispensabile” dell’apprendimento, la fatica.
Il vertice però lo si raggiunge quando, in queste improbabili disamine, si iniziano a citare dati inoppugnabili: “imitiamo la Finlandia che, dopo averli aboliti, vanta uno dei migliori sistemi educativi al mondo”. Giuro, c’è proprio scritto che la Finlandia è diventata uno dei migliori sistemi educativi al mondo dopo aver abolito i compiti; io non so se sia così, ma un’affermazione del genere, usata come argomento incontrovertibile, pare, anche fosse accompagnata da dati, quantomeno opinabile. Anche perché, cercando qua e là in rete, emerge, ad esempio, che il successo del sistema formativo della Finlandia si basa, prima che sulla sottrazione di lavoro a casa, sulla scelta di insegnanti che hanno lavorato tanto a casa per raggiungere alti livelli e superare selezioni severe (altro che contare gli ombrelloni o calcolare il resto del gelato): “in generale, solo il 10% circa degli aspiranti insegnanti viene assunto, cosa che fa sì che la preparazione dei docenti sia molto alta e che il loro status sociale sia elevato”.
Eh, già, ma in Italia noi siamo indietro sui compiti delle vacanze. Anche perché, se poi si guardassero i risultati, pare che uno dei paesi migliori al mondo sia la Corea del Sud, dove gli studenti passano anche più di dodici ore sui libri. Insomma, va bene, togliamo i compiti delle vacanze, ma almeno facciamolo con la schiettezza dialettica del mio amico avvocato, che, avendo solo tre settimane di ferie da passare con i quattro figli e una grande passione per il mare, liquida la questione con un autoevidente “i compiti delle vacanze sono una rottura di c*”.
Che belle, profonde e innovative dunque le discussioni dell’estate (ho anche provato a dire a mio figlio di contare gli ombrelloni e calcolare il resto del gelato, ma lui mi ha guardato perplesso, tra l’allibito e l’avvilito). Anche perché, alla fine di queste riflessioni, parrebbe che le due querelle possano, magicamente, ricomporsi: ma se ai ragazzini che disturbano la quiete in centro dessimo una marea di compiti delle vacanze?
Fonte: Daniele FERRARI | IlSussidiario.net