Bisogna proprio vedere «il dito di Dio» irrompere nella storia per trovare il coraggio di perdere se stessi nella speranza di ritrovarsi. Gandolfini racconta perché le sue sette adozioni. E poi il Family day
Raccontarsi è sempre un’impresa difficile, che non amo molto. Si corrono due rischi opposti, ma che conducono al medesimo risultato: narrazione stucchevole e ad “alto sgradimento”. Da una parte il rischio della noiosa autocelebrazione, dall’altro quello dell’ostentata umiltà, con una buona vena d’ipocrisia. Ho pensato, quindi, di proporre una chiave di lettura perché questa originale storia, mia e della mia famiglia, venga narrata nella giusta dimensione. Chiedendo anticipatamente perdono, oso prendere in prestito le parole della Santa Vergine Maria nel Magnificat: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo Nome». Ecco, appunto: quanto di buono c’è nella mia vita deve essere letto in questo modo. Mia moglie ed io gli strumenti, la Divina Provvidenza l’artefice, la causa prima, per dirla con san Tommaso d’Aquino.
In mezzo alle innumerevoli occasioni in cui ho visto il dito di Dio che guida la nostra vita, credo che due in particolare hanno la cifra di una particolare originalità, che ci ha spinto ad essere “kamikaze” per la vita: la nostra storia famigliare con sette adozioni e l’avventura straordinaria dei Family day.
Dopo sette anni di matrimonio ci cadde addosso la tegola dell’infertilità di coppia. La speranza di poter risolvere in via terapeutica questo problema si dissolse rapidamente e, particolarmente per mia moglie, la sofferenza fu davvero grande. Ma mentre assistevamo, impotenti e increduli, al fallimento della medicina, una cura diversa e molto più efficace ci dava speranza: la preghiera. E proprio attraverso la preghiera ci venne il “suggerimento” che avrebbe cambiato la nostra vita: aprirsi alla vita può significare anche adottare bimbi già nati, che non hanno una famiglia che li accolga e due genitori che li sentano figli propri. Dopo due anni circa di passaggi burocratici presso il tribunale della mia città (che sembrano fatti apposta per scoraggiare e spingere a rinunciare), ottenuta l’idoneità all’adozione, siamo partiti per il Perù, per adottare la nostra prima figlia. Andina, indios, di nome Maria come da sempre avremmo voluto chiamare la nostra prima figlia. Quell’adozione peruana ci costrinse a vivere a Cusco per tre lunghi mesi. Avevamo chiesto entrambi l’aspettativa al lavoro e fatto un fido in banca per poter sostenere le spese. Durante quei lunghi mesi, il Signore ci ha condotto in mezzo a peripezie di ogni genere, amministrative, burocratiche, politiche, ambientali. Impossibile raccontare le decine di occasioni in cui abbiamo visto la Provvidenza all’opera, compresa una volta che venni scambiato per un terrorista di Sendero luminoso, che in quegli anni fomentava la rivolta armata, e fui salvato dalla corona del Rosario che porto sempre in tasca.
Una creatura di “bassa qualità”
A questa prima adozione – siamo nel 1983 – ne seguirono altre sei: due nel 1984 e una per anno fino al 1987. L’ultima nel 1992. Tre sono bimbi sudamericani, quattro italiani. Fino alla quarta adozione, ci ha animato un forte desiderio di genitorialità, che il Signore aveva sostenuto con grande benevolenza. Solo più tardi ci siamo resi conto che si trattava di una preparazione, una sorta di allenamento, per un cambio davvero radicale di prospettiva e di motivazione. Con la quinta adozione, il tribunale ci proponeva un bimbo portatore di malformazioni fisiche, molto difficile da collocare in una famiglia “normale”. Di primo acchito la proposta ci sconvolse, e si affollarono alla mente mille e mille difficoltà che ci sembravano oggettive (e lo erano!) e insuperabili. Decisione difficile, controversa; rischio di fare “superman” e poi trovarsi a pezzi; rischio di rifiutare per un mero calcolo di comodità… A chi chiedere consiglio? Decidemmo di riprendere in mano l’arma che non ci aveva mai tradito: la preghiera, che permette di consultare la volontà di Dio.
Due “parole” ci convinsero ad accettare, con serenità: «Non temete. Io sono con voi ogni giorno»… «Ero malato e voi mi avete accolto». Avvertimmo nel fondo dell’anima, in quel luogo segreto dove l’uomo si trova solo con Dio, che non avremmo mai potuto continuare a vivere se avessimo risposto di no e che avremmo potuto godere di grazie indescrivibili per ogni piccola o grande sofferenza che quella adozione portava con sé. Si aprì così una strada, una sfida per la vita, una scelta di valore: accogliere la vita imperfetta, prendere nella nostra casa e fra le nostre braccia quella vita di “bassa qualità” che tanto spesso, ai nostri giorni, viene considerata “scarto” indegno e peso sociale inutile. Affrontammo, dunque, quella esperienza, non senza timore, ma con una grossa dose di speranza e di felicità. Quella felicità intima, interiore, quasi indescrivibile che ogni uomo prova quando sente di fare il “bene” e, se credente, di tenere fra le braccia lo stesso Gesù.
Fu un “viatico” che ci accompagnò nelle due successive adozioni, sempre di “bimbi imperfetti”, bisognosi di cure speciali, di interventi chirurgici, di accudimenti giorno e notte h24. Non ci siamo mai sentiti “eroi”. Abbiamo sempre vissuto la consapevolezza di essere stati scelti per una missione speciale, in cui ogni giorno facciamo esperienza di un’opera che ci supera, di fronte alla quale non possiamo che contemplare tutta la nostra inadeguatezza e non possiamo fare altro che essere strumenti docili nella mani di Chi ha il potere di fare “cose grandi”.
Quando si accende la luce rossa
Questa storia personale – frutto di un lungo cammino di fede che ha accompagnato la nostra coppia giorno dopo giorno – ha certamente contribuito alla scelta di mettermi in gioco nel vasto mondo della cultura e dell’impegno sociale e politico, sfociato nel pensare, prima, e promuovere poi i Family day 2015 e 2016. Il tutto parte dalla constatazione che si sta affermando una nuova dittatura, un pensiero dominante che non ammette obiezioni, una colonizzazione ideologica che si propone di minare dalle fondamenta le strutture portanti della nostra storia, passata e presente, proponendo modelli di società futura in cui vita e famiglia sono ectoplasmi disponibili ad ogni arbitrio. Diviene, così, “diritto” ogni libera scelta individuale: diritto di aborto, diritto di suicidio, diritto al figlio (naturalmente “perfetto”), diritto di omogenitorialità, diritto al matrimonio same-sex, diritto di fumare marijuana, diritto di comprare l’utero di una donna, diritto di cambiare sesso, diritto di scegliere l’identità di genere, diritto a ogni forma di erotismo perverso, diritto di mettere in galera chi non la pensa secondo questo delirio del “politicamente corretto”.
La luce rossa si accese già nel 2013 con l’irrompere proditorio dell’educazione gender nelle scuole. Lo spettro di una nuova “etica di Stato”, imposta senza confronto civile e democratico, su tematiche delicatissime quale lo sviluppo dell’affettività e della sessualità delle nuove generazioni, si stava concretizzando in programmi scolastici ad hoc, mentre famiglie, genitori, alunni e numerosi insegnanti erano all’oscuro di tutto. Che fare dunque? Come poter lanciare un grido d’allarme? Come difendere i nostri figli e nipoti? Come dare voce a chi non ha voce?
Una risposta generosa e appassionata
In aggiunta, quasi di pari passo, in Parlamento avanza la discussione su una legge che omologa la famiglia – società naturale fondata sul matrimonio, come recita la nostra Costituzione – all’unione civile fra persone dello stesso sesso, con lo scopo dichiarato di eliminare asserite (quanto inesistenti) discriminazioni, ma con la finalità vera di impoverire, ferire, depotenziare, indebolire l’istituto famigliare che la storia dell’umanità da sempre ci ha consegnato e che precede lo Stato stesso. Dietro le quinte, ci stanno l’utero in affitto, la compravendita di gameti, l’adozione di bimbi per coppie omosessuali, l’annullamento del diritto di ogni bambino ad avere una mamma ed un papà. Uno scenario antropologico inaccettabile, che richiedeva una manifestazione pubblica di contrarietà e opposizione.
Diceva san Filippo Neri che un pizzico di “follia” è un ingrediente importante per le scelte di fede. Appoggiandomi a questo grande santo, provai dunque a gettarmi nella folle impresa di realizzare un nuovo Family day. Anzi due Family day, con la straordinaria partecipazione di milioni di nostri concittadini, che hanno risposto con grande generosità e passione al nostro appello “a scendere in piazza” per dare un segno tangibile del sentimento profondo che anima una grande parte della società civile, la cosiddetta gente comune che chiede di essere ascoltata e rappresentata, in opposizione a scelte ideologiche, elitarie, imposte da una classe dirigente totalmente scollata dal sentire popolare. Sono stati due meravigliosi eventi di “festa della famiglia”, due rappresentazioni pubbliche di grande gioia, compostezza, fraternità, pulizia. Non uno slogan di attacco o di odio verso qualcuno, ma parole d’ordine che chiedevano attenzione e preoccupazione, perché la posta in gioco era la nostra stessa civiltà, il fondamento etico del vivere civile che da sempre pone al centro la difesa dei bambini e dei loro inviolabili diritti. Primo fra tutti, ad avere una mamma e un papà.
Come sono andate le cose, lo sappiamo bene e non serve dilungarsi più di tanto. Ma un paio di considerazioni positive penso siano doverose. Da quei due provvidenziali avvenimenti è nato un nuovo “soggetto politico” (con la P maiuscola, come dice papa Francesco). Non un partito, ma un grande movimento popolare in grado di dialogare e influenzare i partiti: la “politica dei princìpi” che può anche condizionare la “politica dei partiti”, per rifarci a Gedda e ai comitati civici. Chi avesse qualche dubbio, basta che faccia mente locale agli avvenimenti accaduti dopo il 30 gennaio 2016: il referendum costituzionale, la fine fatta dal partito “egemone” che ignorando e deridendo con arroganza il sentire popolare pose ben due voti di fiducia sulla legge delle unioni civili, i passaggi elettorali amministrativi e, da ultimo, il 4 marzo delle ultime politiche. Chi dimentica o nega il pathos popolare, soprattutto su temi sensibili ad alto contenuto etico, e sceglie di servire le menzogne ideologiche, prima o poi paga dazio, e passa dalle stelle alle stalle, dal 40 al 18 per cento.
Occhi al Cielo, piedi a terra
Seconda e ultima considerazione: la nostra forza è il Family day. Un evento di unità, coraggio, condivisione e collaborazione; evento in cui ognuno si è speso gratuitamente e generosamente, avendo di mira solo il Bene e la Verità, sulla vita, sulla famiglia, sull’uomo. Sono convinto che questa è la strada che dobbiamo, insieme, percorrere. Gli occhi al Cielo «da dove ci verrà l’aiuto», i piedi ben piantati in terra per fare scelte contingenti, oneste, leali, competenti. Possibilmente vincenti.
Concludo, tornando al punto di partenza: chi è artefice di tutto questo? «Grandi cose ha fatto l’Onnipotente, e santo è il suo Nome».
Fonte: Massimo GANDOLFINI | Tempi.it