Il film di Florian Henckel von Donnersmarck, presentato al Festival di Venezia 2018, attraversa tre epoche della storia della Germania da una prospettiva originale.
Tra i film più interessanti in concorso al Festival di Venezia 2018, Opera senza autore di Florian Henckel von Donnersmarck arriva in sala in Italia. A otto anni di distanza da The Tourist, film poco apprezzato da critica e pubblico nonostante l’estetica straordinaria, il regista premio Oscar 2006 per Le vite degli altri decide di attraversare tre epoche della storia della Germania ispirandosi a fatti realmente accaduti: Kurt (Tom Schilling) è un giovane studente d’arte che si innamora della bellissima compagna di corso Ellie (Paula Beer). Il padre della ragazza, il professor Carl Seeband (Sebastian Koch), non approva la scelta della figlia di legarsi al giovane e tenta in ogni modo di porre fine alla relazione. Ma le loro vite sono già legate da un crimine orrendo, commesso dal rinomato medico ai tempi del Nazismo…
Von Donnersmarck, qui anche nelle vesti di sceneggiatore e produttore, come dicevamo ha tratto ispirazione basandosi su eventi realmente avvenuti: il personaggio di Kurt si rifà al pittore tedesco Gerhard Richter, viaggiando nella sua vita dagli albori del Nazismo fino al periodo socialista. Un film complesso, che racconta da una prospettiva originale la memoria della Germania: un confronto con il passato che non è fatto dal punto di vista dei vincitori o degli sconfitti, preferendo un’esposizione dei fatti neutrale e che costringa lo spettatore a scegliere con naturalezza la propria prospettiva. Un film sulla Germania di oggi, che entra nell’anima tedesca e che ripercorre un passato drammatico arrivando fino ai giorni nostri.
Un’esplorazione della creatività umana, con le ferite della vita che si trasformano in arte: Kurt trova la sua strada attingendo dal suo passato, senza dover seguire i trend della sua epoca e abbandonando definitivamente i canoni politicamente militanti del tempo. E in questo film l’arte diventa anche un mezzo per arrivare alla verità, anche senza consapevolezza. Il geniale artista, interpretato da uno straordinario Tom Schilling, dovrà fare i conti con l’allontanamento forzato della zia Elisabeth (Saskia Rosendahl), una persona molto importante per lui durante l’infanzia e che gli darà un consiglio che porterà avanti anche nell’arte: osservare le cose senza giudicare, cercare di cogliere l’essenza di un’opera o di un avvenimento senza farsi troppo domande.
Come dal punto di vista storico, von Donnersmarck decide di non mettere in relazione, o meglio in competizione, l’arte nazista e l’arte comunista: nazisti e comunisti avevano la propria arte, ma solo liberandosi di queste influenze l’artista ha trovato la sua via, diventando un grande pittore e vivendo fino in fondo il suo talento. Un compito non facile per il regista, che è riuscito però ad assumere un ruolo totalmente imparziale nonostante la netta influenza politica del tempo, legata particolarmente all’artigianalità. E tecnicamente parliamo di una pellicola ineccepibile: la fotografia di Caleb Deschanel ammalia, con le scenografie di Silke Buhr che rappresentano alla perfezione la Germania di tre epoche differenti. E, nonostante si tratti di una storia d’amore su uno sfondo drammatico, il cineasta di Colonia strizza l’occhio a una buona dose di commedia, strappando qualche sorriso allo spettatore nel corso di 180’ che scorrono piacevolmente.
Dopo lo straordinario successo de Le vite degli altri e il passo indietro di The Tourist, von Donnersmarck è tornato e lo ha fatto in grande stile…
Fonte: Carmine Massimo BALSAMO | IlSussidiario.net