Il filosofo francese a Udine per gli incontri di Mimesis: «La velocità di calcolo accelera i processi entropici, facendo collassare anche le strutture sociali»
«Solo l’economia contributiva potrebbe superare l’antropocene e consentire all’uomo di lasciarsi alle spalle i processi entropici che rischiano di distruggere la vita» racconta ad “Avvenire” Bernard Stiegler. Il direttore del Centre de recherche et innovation del Centre Georges Pompidou e uno dei pochi filosofi a pensare il XXI secolo, a Udine per discutere con Francesco Vitale di filosofia e reti in occasione del Festival della filosofia di Mimesis con cui ha pubblicato Platone digitale.
Come definire la rivoluzione digitale?
«Con l’avvento di smartphone e social network la digitalizzazione ha generalizzato la diffusione di device elettronici portatili, vale a dire la connessione generalizzata, ubiquitaria e permanente: più della metà della popolazione mondiale è messa in rete. Questo processo trasforma i prodotti industriali, i servizi, i materiali da costruzione per permettere la calcolabilità di tutti i flussi comportamentali tramite algoritmi, eliminando quanto non è calcolabile e marginalizzando ciò che è singolare con l’imposizione di un potere planetario esercitato da alcuni attori americani ma anche cinesi. Questo porta a essere teleguidati in base esclusivamente a criteri di mercato generando quell’uomo medio che Musil ritiene senza qualità».
Che conseguenze ha la rivoluzione digitale sulla società?
«La situazione è grave perché la digitalizzazione accentua e accelera gli effetti dell’antropocene, dominato dagli effetti tossici dell’attività umana sulla biosfera, che turba i grandi equilibri e distrugge la biodiversità, così come le strutture mentali catturando l’attenzione e creando dipendenza. La biosfera si avvicina a una fase caotica che, per colpa di un cambiamento profondo, porterà alla fine non solo dell’uomo ma della vita sulla terra. L’antropocene consiste in un immenso aumento dei livelli di entropia termodinamica, biologica e informativa che io chiamo entropocene. L’entropia è aggravata in modo drastico dal calcolo come avevano anticipato Norbert Wiener nel 1948 e Ludwig von Bertlalanffy nel 1971. Inoltre la digitalizzazione produce l’automazione generalizzata, cioè la riduzione dei posti di lavoro, e perciò la creazione di un’insolvenza economica strutturale».
Le piattaforme sono le più potenti organizzazioni di dati del web. Che ruolo giocano?
«Le piattaforme hanno distrutto il web. Inizialmente erano concepite per favorire il dibattito scientifico e pubblico, lottavano contro l’entropia e a difesa della diversità. Solo questa garantisce una vera razionalità, cioè una razionalità critica, atta a promuovere una scienza aperta. La noodiversità è essenziale al pensiero, così come la biodiversità è essenziale alla vita. Adorno e Horkheimer sostenevano nel 1944 che i mass media avrebbero distrutto la ragione moderna, come l’aveva concepita l’Illuminismo, e sostituita con la razionalizzazione, cioè la generalizzazione del calcolo per favorire la diffusione del capitalismo industriale e imporre il mercato ovunque. Quando il Cern di Ginevra ha lanciato il web ha reso possibile la rivoluzione digitale. Prima Internet non forniva funzioni editoriali rivoluzionarie come pagine e siti web, da cui sarebbe nato il social web. Ma né i politici né il mondo economico e industriale dell’Europa hanno compreso la straordinaria novità di quanto sarebbe scaturito da questa ricerca europea finanziata con fondi pubblici. Gli Stati Uniti invece se ne sono impadroniti e l’hanno completamente snaturata: ne hanno fatto l’attuale data economy, totalmente sottomessa a calcolo e entropia, mentre prima il web prometteva diversificazione, potere critico e la società aperta. È dalla rinuncia degli europei a far propria la loro produzione che nasce la cosiddetta post-verità, che ora domina le reti».
Come riprendere il controllo delle piattaforme?
«Bisogna riprendere il progetto iniziale e arricchirlo introducendo formati e strutture di dati che favoriscano la negentropia, nel senso di Schrödinger, e l’anti-entropia, nel senso di Giuseppe Longo, per ricostituire un web deliberativo, fattore di intelligenza collettiva e non di dipendenza, di mimica gregaria e manipolazioni di ogni tipo. Per farlo è necessario sviluppare nelle strutture dei dati campi di annotazione incalcolabili che portano necessariamente alla deliberazione tra scienziati, ingegneri, colleghi, abitanti, studenti. Io lo metto in pratica nei miei corsi e, con l’Istituto che presiedo, stiamo implementando questo approccio in un territorio di 430.000 abitanti nella banlieue nord di Parigi, all’interno di un programma di sperimentazione sociale di dieci anni».
La rapidità dello sviluppo tecnologico ha condotto all’era dell’innovazione?
«L’innovazione appare con la rivoluzione industriale e l’antropocene, poi si accentua con il modello consumista e di nuovo con il web, quando l’innovazione si muove dal basso verso l’alto permettendo una straordinaria accelerazione dei cambiamenti tecnologici e industriali».
L’innovazione è pericolosa per la società?
«Essa è necessaria ma con l’accelerazione digitale diventa, distruttiva: andando sempre più veloce, cortocircuita e svuota dei loro contenuti e funzioni le strutture sociali, dall’istituzione familiare all’educazione, semplicemente distrugendole».
In Dans la disruption questo fenomeno conduce alla melanconia collettiva…
«Con le piattaforme, le persone sono espropriate di se stesse perché tutte le loro interazioni sono registrate, controllate e calcolate quattro milioni di volte più velocemente di quanto non siano in grado di farlo loro. Questi calcoli automatici e basati su medie probabilistiche portano ad anticipare i loro desideri e a scavalcarli sottoponendo gli individui soggetti alle medie a essere mediocri e insoddisfatti di sé e degli altri. La gente ha la sensazione di non avere un futuro proprio, e questo, combinandosi con la liquidazione del sociale, porta alla disperazione e a una sorta di ordinaria follia collettiva».
Fonte: Simone Paliaga | Avvenire.it