L’attività dello studente è profondamente abitata da tutte le dinamiche proprie della spiritualità e l’esperienza dello studio può configurarsi come un vero e proprio esercizio spirituale caratterizzato da una contrapposizione dinamica di tentazioni e virtù. Ne è convinto Angelo Tumminelli, giovane insegnante di filosofia in un liceo di Roma, che ha appena dato alle stampe il volumetto “Lo studio. Un esercizio spirituale” (Edb) nel quale mette a frutto la propria esperienza di tutor degli studenti ospiti di Villa Nazareth – residenza universitaria romana dove lo stesso Tumminelli si è formato – cui offre un servizio di accompagnamento e aiuto nella formazione accademica. Incontrandolo, ci spiega di concepire lo studio come “spazio di tensione tra una profonda aspirazione a Dio, e quindi alla bellezza e alla vita piena, e forti tentazioni, tra cui quelle dell’idolatria, o dello spreco del tempo o dell’abbandono che rischiano di portare lo studente fuori strada”. Di qui l’idea del volumetto – una sorta di vademecum – costruito secondo un’architettura che mette specularmente in parallelo tentazioni e virtù cosicché ad ogni tentazione corrisponda una virtù in grado di contrastarla e di orientare il giovane verso la sua piena realizzazione.
Qual è la tentazione più grave nella vita di uno studente?
L’idolatria: l’assolutizzazione dello studio quale unico scopo dell’esistenza e fine ultimo della persona. Da strumento per la realizzazione di sé e l’incontro con Cristo a vero e proprio idolo che inverte l’ordine delle cose e si sostituisce a Dio.
L’idolatria è una brutta bestia che molti universitari incontrano sulla loro strada.
Come contrastarla?
Con la macrotimía, ossia l’apertura del cuore, la disponibilità ad accogliere il mondo nella sua bellezza. Lo studio non è un’opera di comprensione della realtà ma piuttosto un lasciarsi comprendere da essa.
Il vero studente, lo studioso, non è chi raccoglie informazioni sulla realtà ma chi si lascia abitare dalla sua bellezza,
disponibile all’ascolto di ciò che la realtà vuole suggerirgli. Accogliere in modo intelligente gli argomenti di studio porta allora a trarne orientamenti per l’esistenza in senso più ampio. La realtà che ci circonda non è un oggetto da conquistare ma un “tu” che mi interpella, che mi visita.
Quali sono le altre tentazioni?
Il perfezionismo; lo specialismo o al contrario la superficialità; l’abbandono; le distrazioni. Ma la peggiore, dopo l’idolatria, è il confronto con gli altri.
Perché? Confrontarsi aiuta a crescere e la sana competizione può essere uno stimolo positivo…
A condizione però che l’altro venga visto come fratello con il quale condividere un cammino di ricerca e non, scatenando dinamiche aggressive, come competitor, nemico da abbattere per impedirgli di conquistarsi il primo posto che vorremmo per noi. Può anche capitare, al contrario, che il confronto con i colleghi provochi invece un’assillante sensazione di inadeguatezza, scoraggiamento, disistima di sé.
Quindi?
Occorre aiutare lo studente a raggiungere quell’equilibrio che consente di accettare i propri tempi, consapevole delle proprie potenzialità e limiti, dei possibili successi e fallimenti. Questo richiede un faticoso ma necessario discernimento del cuore, oltre a virtù quali pazienza e perseveranza. Solo così, al di là dei risultati accademici, potrà vivere serenamente le relazioni interpersonali con i compagni di studio.
Non aiuta però il clima generale di paura e di chiusura. Lo spauracchio del nemico è agitato un po’ ovunque e i muri sembrano prevalere sui ponti.
In ambito universitario, e più in generale in tutta la società, possono venirci incontro due parole d’ordine: gratuità e condivisione. Categoria cristiana, la prima ci fa vivere l’altro come un dono ma richiede di vivere anzitutto noi stessi, il nostro essere al mondo, come frutto di un atto di gratuità e di amore. In questo modo possiamo accogliere l’altro nella sua diversità, intesa come ricchezza, in un contesto plurale in cui siamo chiamati a condividere con persone diverse da noi per cultura, religione, identità politica un percorso comune, un camminare insieme. Senza omologare le differenze ma rispettandole e valorizzandole. In questo orizzonte il “sapere” acquisito non rimane un deposito personale da custodire gelosamente, bensì un bene, come altri, da condividere.
Lo studio è professione o vocazione?
Il tedesco indica professione e vocazione con un unico termine, “beruf”, che ha la sua radice nel verbo “rufen”, chiamare. Del resto la professione è sempre una chiamata, un compito assegnato da Dio per mettere la propria vita al servizio degli altri. Ma essa è preceduta e preparata da quel primo discernimento vocazionale costituito dal percorso universitario. Se vissuto seriamente presentando a Dio dubbi, desideri e possibili vie da intraprendere, consente di far comprendere allo studente qual è l’ambito del reale che più lo interpella e lo chiama a spendere la sua esistenza, in definitiva qual è la sua più intima vocazione umana.Questo il senso profondo del discernimento personale, in sintonia con la riflessione emersa al Sinodo dei giovani appena conclusosi.
La preghiera dello studente di san Tommaso d’Aquino a concludere il volume. Perché?
Se abitata dalla preghiera, la vita dello studente può divenire un sacramento vivo, un modo in cui Dio si rende presente attraverso la fatica dello studio per chiamare ciascuno al proprio servizio nel mondo.
Mettersi alla scuola di Tommaso significa domandare al Signore uno sguardo intelligente e umile sulla realtà in comunione con Lui.