Forse il compito più alto” per una comunità educativa è far sentire i giovani “non solo accolti, ma anche aiutati a scoprire – nel passaggio cruciale tra fase infantile e adolescenziale – il valore della propria grandezza riscontrando ciò che di positivo il proprio ‘essere e fare’ produce ‘con e per’ gli altri”. Ne è convinto Alessandro Rosina, direttore del Dipartimento di Scienze statistiche all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, coordinatore scientifico del Rapporto Giovani promosso dall’Istituto Toniolo. Rosina, che ha partecipato al Sinodo sui giovani appena conclusosi in qualità di esperto collaboratore del segretario speciale, oggi terrà la prolusione in occasione dell’apertura del 64° anno accademico della Pontificia Facoltà Auxilium di Roma.

Professore, dal Sinodo è emersa da parte dei giovani una forte domanda di accompagnamento.
Esiste una domanda insoddisfatta di istituzioni e persone in grado di accompagnare in modo affidabile le nuove generazioni nel progettare la propria vita e nel discernere mettendo in atto scelte di valore. Un accompagnamento che non riguarda solo i percorsi individuali, ma anche le scelte collettive che contribuiscono a cambiare e migliorare la realtà circostante. Come ha messo in evidenza il Sinodo, più e ancor prima che aiutare il giovane a prendere una decisione, l’accompagnatore deve aiutarlo a mettersi in ascolto e a prepararsi a lasciare le sicurezze del passato. Aiutarlo a costruire la nave e il sistema di orientamento, ma senza determinarne la rotta. Solo così il giovane potrà davvero prendere “la” decisione esercitando la sua libertà per qualcosa di più grande.

Questo come si applica/declina nel processo educativo?
Accompagnando un cambiamento del modo in cui il giovane si pone in relazione con il mondo nella formazione della sua identità adulta. E’ importante sostenere attivamente le nuove generazioni nella fase più delicata e fertile della loro formazione, affinché facciano emergere i loro talenti e imparino a moltiplicarli acquistando fiducia nella propria capacità di agire positivamente.

Qual è il ruolo delle generazioni adulte?
Aiutare i giovani a riconoscere fragilità da contenere e potenzialità da sviluppare. Il “nuovo” va incoraggiato ad emergere, acquistare consapevolezza di ciò che può diventare, affinarsi per trarre il meglio di sé.

Spesso però i giovani si trovano davanti a ostacoli difficili da superare: resistenze o posizioni acquisite e consolidate da chi è venuto prima di loro.
Occorre che l’esistente non diventi “resistente” e le posizioni consolidate non diventino barricate dietro le quali difendersi. Solo così è possibile lasciare spazio ad energie e intelligenze nuove in grado di promuovere il cambiamento e raggiungere traguardi a volte impensabili. Ogni generazione ha un proprio valore che va riconosciuto e messo in condizioni di dar frutto rispetto alle sfide del proprio tempo.

Serve quindi un riconoscimento reciproco?
I giovani devono riconoscere il valore di quello che hanno ricevuto, le vecchie generazioni il valore di cui le nuove sono portatrici. E oggi in Italia questo è ancor più necessario. Gli squilibri prodotti nel nostro paese non si possono superare, tornando a generare crescita, se non mettendo virtuosamente e sinergicamente in campo tutte le forze “mobilitabili”.

Dal punto di vista formativo, c’è bisogno di nuove modalità e strategie di insegnamento?
Il processo di formazione non è acquisizione statica di nozioni e conoscenze, bensì costruzione dinamica e riflessiva della nostra visione di noi stessi nel mondo, a cui si aggiunge la capacità di saper essere e saper fare nella realtà che ci è data. In un mondo sempre più complesso e in continuo mutamento è essenziale imparare a gestire la complessità per non scadere nell’ipersemplificazione della realtà.

In che modo?
Occorre acquisire una formazione solida in partenza e un atteggiamento positivo e intraprendente nel costruire il proprio percorso professionale; mantenendo elevate le abilità che possono indebolirsi nel tempo e valorizzando le esperienze sviluppate. E’ inoltre necessario cogliere l’opportunità della cooperazione tra persone con sensibilità e competenze diverse mettendo continuamente in discussione i propri schemi di lettura della realtà e le modalità di azione al suo interno. Se però non crescono le opportunità lavorative per i giovani si rischia di scadere in una competizione al ribasso, con nuove generazioni che si trovano a temere la concorrenza di anziani, immigrati e robot. Lo scenario odierno è caratterizzato da un diffuso clima sociale di incertezza e sfiducia.

Come mai?
Mi pare che suggerisca che se ti viene offerta una opportunità non puoi lasciarla scappare, devi coglierla. Tanto più se te ne viene data una sola, è una colpa sprecarla. Ecco perché la parabola è così severa con chi spreca il suo unico talento. L’idea è che il cogliere opportunità porta a creare ulteriori opportunità, il dare valore consente di promuovere ulteriore valore. Il talento è come la chiave di una porta: se lo usi per aprirla anche altri potranno poi entrare e da quella stanza aprire altre porte. Questo sta alla base dell’agire per e con gli altri in un contesto in cui tutti si arricchiscono. Chi, pur avendo la chiave, lascia la porta chiusa, crea danno per tutti, è giusto e doveroso allora consentire a chi può dare di più di poterlo fare ancora meglio.

Quale lezione per la società?
Un duplice insegnamento. Per i giovani quello di aumentare le occasioni di mettersi in gioco ed esporsi attivamente ad esperienze positive, mentre genitori e educatori sono chiamati a pretendere che le colgano al meglio contribuendo ad un processo di moltiplicazione di opportunità e valore per tutti. Poi, l’importanza di un sistema che non lascia indietro nessuno, incoraggiando chi ha sprecato il proprio talento a mettersi all’opera con fiducia nella certezza che più dai, per quanto poco inizialmente, più ti sarà dato e più riuscirai ad ottenere.

Fonte: Giovanna Pasqualin Traversa | AgenSir.it