Bergoglio cambia il Padre Nostro? Una falsità, lo studio per una miglior traduzione del “non indurci in tentazione” iniziò nel 1988 con il sostegno di numerosi biblisti, tra cui il card. Biffi. Nel 2007 fu approvata ufficialmente con il placet di Benedetto XVI. Non è dunque una “trovata” di Papa Francesco.
Il nuovo ritornello è: “Dopo 2000 anni Bergoglio cambia il Padre Nostro“. Lo si ripete instancabilmente nel network dei blog dei cattolici-protestanti, nemici del Papa e della Chiesa. Ma non è vero. La necessità di una miglior traduzione di una frase contenuta nell’antica preghiera nacque nel lontano 1988, fu studiata e sostenuta da insigni biblisti, tra cui il card. Giacomo Biffi, e nel 2007 i vescovi italiani votarono all’unanimità per modificare il “non indurci in tentazione”, con l’esplicita approvazione dell’allora pontefice, Benedetto XVI. Oggi Papa Francesco, per uniformità e coerenza, ha esteso la modifica anche nell’uso liturgico.
Bergoglio era ancora un lontano e poco conosciuto vescovo argentino quando la Chiesa ratzingeriana scelse ufficialmente di introdurre la formula: “non abbandonarci alla tentazione”. Ne abbiamo parlato approfonditamente qualche mese fa ma, dato che la polemica è riemersa in questi giorni, è utile sapere che tale modifica venne richiesta ancora prima, anche dall’allora arcivescovo di Bologna, il card. Giacomo Biffi. Un pastore saggio e stimato e, suo malgrado, un punto di riferimento degli attuali giornalisti antipapisti, totalmente disinformati della storia della Chiesa.
Disse infatti il card. Biffi: «Questo è il senso che anche sant’Ambrogio attribuisce a quelle parole del Padre Nostro, per questo sono d’accordo con la nuova traduzione». Lo ha ricordato l’arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, anch’egli presente quando fu votata al Consiglio permanente della CEI la nuova traduzione della preghiera insegnata da Gesù. Siamo nell’anno 2000 ed il Papa regnante era Giovanni Paolo II, in quella occasione «la posizione del più insigne teologo del Consiglio permanente, Biffi, coincise con quella del più insigne biblista, l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini», ha detto mons. Betori. «È noto che non sempre le posizioni dei due porporati italiani fossero coincidenti. In quel caso concordarono per la versione che non traduce letteralmente ma restituisce il senso profondo di quelle parole che nel verbo italiano “indurreˮ lasciavano pensare a un Dio che quasi ci forza a cadere in tentazione».
I lavori sullo studio della “modifica” del Padre Nostro iniziarono addirittura nel 1988, esattamente trent’anni fa, quando fu istituto un gruppo di lavoro di 15 biblisti, coordinati da 3 vescovi e con la collaborazione di altri 60 biblisti. Tra essi, come già detto, parteciparono anche Martini e Biffi. L’allora sottosegretario della CEI, mons. Betori, ricorda oggi:
«Eravamo nell’anno 2000 e io fui presente a quella seduta, che ricordo molto bene, in quanto sottosegretario della Cei. Il fatto che sia Biffi che Martini avessero approvato questa traduzione fu considerata una garanzia per il Consiglio permanente, e poi per tutti i vescovi italiani, della bontà della scelta effettuata. Nell’esprimere la sua approvazione alla nuova versione ricordo che Biffi fece esplicito riferimento all’interpretazione di sant’Ambrogio della frase sulla tentazione. La scelta del Consiglio permanente fu quella di intervenire solo dove fosse assolutamente necessario per la correttezza della traduzione. Nel caso del Padre Nostro prevalse l’idea che fosse ormai urgente correggere il “non indurreˮ inteso ormai comunemente in italiano come “non costringereˮ. L’inducere latino (o l’eisfèrein greco) infatti non indica “costringereˮ, ma “guidare versoˮ, “guidare inˮ, “introdurre dentroˮ e non ha quella connotazione di obbligatorietà e di costrizione che invece ha assunto nel parlare italiano il verbo “indurreˮ. Quest’ultimo sembra attribuire a Dio una responsabilità – nel “costringerciˮ alla tentazione – che non è teologicamente fondata. Si scelse allora la traduzione “non abbandonarci allaˮ che ha una doppia valenza: “non lasciare che noi entriamo dentro la tentazioneˮ ma anche “non lasciarci soli quando siamo dentro la tentazioneˮ».
Mons. Betori era invece segretario della CEI nel 2008, quando la traduzione divenne ufficiale dopo l’approvazione della Congregazione per il Culto Divino del novembre 2007, allora guidata dal prefetto Francis Arinze, e con specifica approvazione da parte del Pontefice allora regnante, Benedetto XVI e fu così pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana. Papa Francesco ha quindi semplicemente ripreso la volontà dei suoi predecessori e del card. Giacomo Biffi e, per uniformità e coerenza, ha esteso la “nuova versione” nell’uso liturgico.
Come cattolici siamo stati educati ad accogliere le decisioni dalla Santa Madre Chiesa, a mettere i nostri passi nel cammino tracciato dai successori degli Apostoli. La fede “adulta” non ci interessa, la ribellione nemmeno. Anche se dovessimo essere in disaccordo, come devoti cattolici ogni mattina liberamente scegliamo che l’amore alla nostra effimera opinione non vale più di quello verso la Chiesa, prosecuzione del volto di Cristo nella storia, pur con tutti i limiti dei pastori è sorretta e guidata dallo Spirito Santo. Ci basta sapere che insigni biblisti e tre pontefici abbiano sostenuto la necessità di modificare quella frase e, dopo anni di studio, riuniti in assemblea i vescovi italiani votarono a favore all’unanimità (202 favorevoli, 1 contrario).
Non faremo parte del gruppetto di “cattolici adulti” che per ripicca ideologica e rancore esistenziale continuerà ad usare la vecchia formula del Padre Nostro, esibendo la aperta ribellione sui social network e generando disorientamento e confusione nei loro amici e negli stessi figli e/o nipoti che invece verranno educati alla “nuova”, fino a che la “vecchia” sarà un lontano ricordo. La storia e i protestanti passano e si dimenticano, la Chiesa resta.
Fonte: UccrOnline.it