Già quasi un secolo fa il grande scrittore inglese segnalava la deriva consumistica impressa alla festa più amata
È una caratteristica dei nostri tempi quella di creare aspettative grandiose sul Natale, trasformandolo in un gigantesco spot pubblicitario. La maggior parte dei giornalisti inizia a scrivere i primi articoli sulla stagione natalizia alla fine dell’estate e si prepara a lanciarli già nel cuore dell’autunno. Iniziano a pensare all’agrifoglio e al vischio mentre fioriscono ancora le ultime rose dell’estate e immaginano che fiocchi la neve nella foresta quando a cadere sono solo le foglie. Singolare caratteristica della modernità, collegata in parte a quello spirito profetico delle utopie moderne che ha portato alcuni a chiamarsi futuristi, nell’ipotesi pittoresca che sia possibile affezionarsi al futuro. È connessa a quel romanticismo espresso un tempo con la frase “arriveranno tempi migliori”; seguita da quelli che dicono “non ci metteremo molto”, che i critici più sardonici denuncerebbero come una promessa non mantenuta. Almeno, nel campo di una società perfetta del futuro, si può dire che in molti attendono tempi migliori, anche se sarebbe difficile sostenere, in questo momento, che non ci metteremo molto. Sono coloro tuttora convinti che l’utopia si realizzerà, così come arriverà il Natale, specialmente quando lo declamano (con una certa amarezza) nel mese di maggio. Ma, per il mondo della pubblicità, il Natale sta arrivando quando è ancora di là da venire. Non si può mai dire, con soddisfazione completa e piena, che è giunto finalmente il giorno di Natale. La moda futurista dei nostri giorni ci porta a cercare la felicità nel domani piuttosto che nel presente. Quindi, mentre aumenta incessantemente il clamore nell’approssimarsi delle feste natalizie, non altrettanto clamore suscita la festa in sé.
Gli uomini d’oggi pensano che quando la festa è arrivata sia già finita. Nel mondo commerciale odierno le preparazioni per il Natale sono infinite mentre la festa dura il tempo di un lampo. Il che contrasta nettamente con le usanze antiche, ai tempi in cui la festa era sacra per la gente semplice, quando ci si preparava con austerità all’Avvento e si digiunava alla vigilia. Poi però esplodeva una festa continua e gioiosa che durava dodici giorni e che culminava in quella bizzarria che Shakespeare definì La dodicesima notte, o quel che volete. Come nei Saturnali, che terminavano in una baraonda dove tutti facevano quello che volevano. Quei dodici giorni dal Natale all’Epifania sono stati resi poeticamente con tanta bellezza da William Shakespeare. Una poesia del tutto assente nelle pubblicazioni giornalistiche dei nostri giorni sulla preparazione del Natale. Sarebbe vano nascondere i miei gusti reazionari, che propendono per quelle antiche usanze. Suggerisco addirittura che ognuno si goda il Natale quando arriva, invece di essere bombardato dagli annunci che sta arrivando. Penso persino che sia meglio che il monello si ammali per aver mangiato troppo pudding di Natale invece di diventare un piccolo nichilista e pessimista a furia di vedere le foto della torta natalizia nelle riviste o nei tabelloni pubblicitari mesi prima di poterlo gustare. In ogni caso, solo mangiandolo si potrà dimostrare che quel dolce natalizio è buono. Ed è un simbolo che andrebbe tenuto a mente e che troppa gente oggi ha dimenticato: bisogna gustare le prelibatezze quando vengono consumate.
Viene data troppa importanza alle parole invece che alle cose: siamo inondati da progetti, schemi e annunci illustrati di certi beni e si perdono di vista i beni stessi. Il nostro mondo è tediato da troppe chiacchiere: reportage e previsioni hanno preso il posto del gusto diretto delle cose e delle esperienze concrete. Si vivrebbe meglio se le persone riscoprissero la vita semplice del contadino. Ma l’uomo moderno trova più affascinante il paesaggio immaginario dei film che non quello reale della terra e delle fattorie. In realtà il paesaggio della fattoria è mille volte più interessante di quello cinematografico. Tuttavia i critici non ammettono che l’uomo possa tornare a gustare le cose vere, originali, al posto delle copie. Nonostante tutto il materialismo e i meccanismi massificanti che contraddistinguono la nostra cultura, viviamo in un mondo di ombre. Forse ciò avviene proprio perché i profeti e i progressisti proiettano la loro ombra sugli eventi a venire. Si considera che solo la danza di ombre sia entusiasmante; e così perdiamo il significato delle cose concrete. Il dolce natalizio può essere considerato un’allegoria e un simbolo anche in un altro modo. Il bambino si aspetta di trovare sei centesimi nella torta; il che va bene, a patto che la torta sia considerata più importante dei sei centesimi. Il cambiamento dalla mentalità medievale a quella moderna sta proprio in quest’immagine. Prima si mettevano i sei centesimi nel pudding, oggi i sei centesimi prevalgono sul pudding.
Anche nel Natale antico c’erano i denari, le mercanzie e i mercanti. Ma lo schema morale dell’ordine antico, per quanto pieno di difetti, si basava sul fatto che il denaro non prevaleva sui beni, che il mercante non prevaleva sull’artigiano. Vi erano talvolta guadagni inattesi, come quei sei centesimi trovati incredibilmente dentro un dolce natalizio. Ma l’idea della proprietà stabile e del suo godimento prevaleva sul guadagno frutto del caso e della fortuna. Con l’avvento dei mercanti spregiudicati la mentalità cambiò fino a un totale ribaltamento di prospettiva. Il mondo iniziò a essere dominato da quelli che Lord Birkenhead chiamò “i prezzi luccicanti” senza i quali le persone non possono intraprendere alcuna attività sana e proficua. E così le persone iniziarono a pensare un po’ troppo ai prezzi e poco al pudding. Il che, in riferimento al dolce è un errore, in riferimento al Natale una bestemmia. In quanto vi è un senso di perversione, non estranea a una certa dissacrazione, quando il commercio trasforma completamente una tradizione di origine sacra. Milioni di persone rette e di valore ci tengono ancora al Natale; e in tutta sincerità lo mantengono sacro e felice. Ma vi sono coloro che, approfittando di istinti naturali come la giocosità e la ricerca del piacere, lo hanno trasformato in qualcosa di molto più vile della giocosità o della ricerca del piacere. Hanno tradito il Natale. Per loro l’essenza del Natale, così come l’essenza del pudding natalizio, è diventata qualcosa di stantio da seppellire con i loro tesori; e hanno solamente moltiplicato i sei centesimi in trenta denari. (da “Illustrated London News”, 23 dicembre 1933 Traduzione di Andrea Colombo)