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Giacomo Poretti: salvo dall’estinzione la parola anima (VIDEO)
— 14 Dicembre 2018— pubblicato da Redazione. —
Quando nacque suo figlio, un sacerdote gli disse: “Bene, avete fatto un corpo, ora dovete fare un’anima”. Ha fatto i conti con questo pungolo e ora ne parla a teatro in un monologo per genitori e giovani.
“E poi – prosegue Giacomo – a pensarci bene a cosa serve un’anima? Nessuno ti chiede di esibirla: quando ti fermano i carabinieri si accontentano di patente e libretto, se fai acquisti su internet bastano carta di credito e mail. L’anima sembra la cosa più antimoderna che possa esistere, più antica del treno a vapore, più vecchia del televisore a tubo catodico, più demodè delle pattine da mettere in un salotto con la cera al pavimento; lontana come una foto in bianco e nero, bizzarra come un ventaglio, eccentrica come uno smoking e inutile come un papillon. A un certo punto rischia di farti tenerezza quella parola lì. (da Agidi)
Ci pensa il comico
Quando si parla di Natale e comici, si pensa subito al cinepanettone. Ma quest’anno – finalmente – esiste un’alternativa di gran lunga più appagante, da gustare in famiglia a teatro. Ne è ideatore, realizzatore e protagonista Giacomo Poretti, in un’esperienza in solitaria senza gli amici Aldo e Giovanni.
Si intitola “Fare un’anima” ed è un monologo dedicato alla parola meno fashion, meno taggata, meno urlata del momento: anima, appunto. Cos’è? Dov’è? Che forma ha?
Ma il comico, maestro dei tempi scattanti di una battuta, incalza ponendo una domanda assai più stimolante: non è curioso che 61 kg di carne come me abbiano coscienza di sé e del mondo?
La sfida è tutta qui, Giacomo Poretti mette in scena il mistero profondissimo della persona, interrogandosi seriamente da uomo ironico. Secoli e secoli di filosofia hanno dibattuto sul concetto di anima, ma il succo fecondo di questi discorsi rischia di essere distante e inascoltato dalla gente comune, che pure è assetatissima – a volte a sua insaputa – di scoprire la radice eterna del nostra creaturalità.
Serve un tramite, il comico; qualcuno che possa traghettare la bellezza dal mondo delle idee al mondo della comunità viva, che va scuola, al bar, sul divano di casa e talvolta s’incanta davanti a un tramonto. Nei nostri momenti di stupore, dolore, gioia, da qualche parte sentiamo sbocciare un “io” che non è carnale e biologico, che palpita, anela … si dilata. L’anima. Si chiede Giacomo:
Come nasce l’anima? Spunta coi dentini da latte? O dopo? Quanto incide una corretta alimentazione a farla crescere? E, nel caso, sarebbe meglio una dieta iperproteica o senza glutine, oppure povera di sodio? Ma l’anima esiste davvero o è una nostra invenzione? E ancora: è una parola da mandare in pensione o i tempi complicati che stiamo attraversando la rendono più che mai ineludibile? (Ibid)
Quella battuta in ospedale …
Lo spettacolo inizia con un inciampo, come a dire che su certe parole ormai ci si deve sbattere contro per accorgersene. Anche Giacomo inciampò nella parola anima 12 anni fa, con la nascita di suo figlio. L’attore ricorda di come un vecchio sacerdote venne a visitare in clinica il bambino appena nato e disse a lui e sua moglie: “Bene, avete fatto un corpo, ora dovete fare un’anima“. Con ironia Giacomo avrebbe voluto replicare al prete: “Ma come? Io volevo farne un avvocato … o un enologo…”.
La battuta vince su mille spiegazioni, perché dichiara in modo palese sia le nostre stupide fisse, sia il fatto che non appena incontriamo qualcosa di vero lo riconosciamo. Quanto è frequente proiettarci nel futuro dei nostri figli, desiderando che siano davvero felici … come avvocati. Ahimè. Pensiamo a una forma riduttiva e, tendenzialmente, incasellata negli stereotipi che vanno per la maggiore il compimento di una vita.
Poretti non replicò al sacerdote, ma quella frase ha lavorato in lui come un tarlo per anni. Il frutto di questa meditazione lo porta in scena nel monologo scritto insieme a Luca Doninelli. Ed è come fare tabula rasa di tante chiacchiere. In fondo, quando quotidianamente parliamo di bullismo, violenza, accoglienza, solidarietà, impegno rischiamo di perderci nella deriva di affluenti che non sanno più qual è il fiume da cui ricevono acqua. Lavarsi gli occhi alla sorgente è il modo migliore per guardare ogni piccolo evento con un cuore un po’ più terso; proprio il nostro corpo ci chiede di essere guardato per intero, come parte di un’unità che non è solo carnale. Lasciamoci guidare dalla voce allegra e serissima di chi ci fa scarpinare su, fin lassù, dove sgorga il bene grande che siamo:
Anima è una parolina esangue, malvestita e malnutrita, eppure è gelosa e innamorata: innamorata di noi e della vita, e come ogni amante ci vuole solo per sé. (Ibid)
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