Prima di parlare di pace e guerra riflettiamo sull’aborto: Costanza Miriano
— 21 Novembre 2014 — pubblicato da Redazione. —Mi dispiace, sarò ripetitiva, ma per me, finché non si riapre seriamente un discorso sull’aborto, tutti i discorsi sulla pace e sulla guerra non hanno un gran senso. Perché una violenza si chiamerebbe diritto intoccabile, progresso e liberazione, e un’altra violenza invece sarebbe una crudeltà da combattere? Chi giudica quale violenza sia buona e quale cattiva? A parte quella per legittima difesa, tutta la violenza è cattiva (non uccidere, quinto comandamento). Allora perché dovrei indignarmi per una guerra, se c’è un genocidio consumato quotidianamente nei nostri ospedali, in un’apparente pulizia e asetticità, in cui le vittime sono i più deboli tra i deboli, i più piccoli tra i piccoli, i bambini che stanno cercando di crescere sotto il cuore della loro mamma?
Come posso appassionarmi alla proliferazione dell’orso marsicano, della foca o della balena, se in tutto l’Occidente si fanno poco più di un figlio a donna, e quindi si va verso l’estinzione? Come posso dedicarmi alla raccolta differenziata se i bambini uccisi in certi ospedali vengono buttati nei rifiuti (non in tutti: il Papa in Corea ha visitato un cimitero di bambini abortiti, ma nessun giornalone l’ha considerata una notizia degna di grande risonanza)?
Come posso angosciarmi per i bambini lontani e non preoccuparmi di quelli vicini (uccisi tra l’altro anche a spese mie)?
I nostri contemporanei che hanno eliminato Dio dal loro orizzonte e che si credono padroni della vita e della morte, depositari del giudizio di quale morte sia buona e quale cattiva, non possono fare a meno di credere in qualcosa, e allora si inventano nuovi dogmi del politicamente corretto, nuove battaglie a difesa di presunti diritti che però sono fragili e, francamente, poco appassionanti.
Ripartiamo dai fondamentali. I bambini dentro la pancia della mamma. Se dovessi pensare a una cosa che può mettere tutti d’accordo, non me ne verrebbe in mente nessun’altra.
La pace inizia dal rifiutare l’aborto | Credere.it