Microchip sottopelle: è boom di operazioni in Svezia. Libertà sacrificata sull’altare della comodità
“La libertà è schiavitù”. Un ossimoro: verrebbe da definire così uno dei motti che compaiono sui manifesti di propaganda che ritraggono il Grande Fratello nel celebre romanzo distopico “1984” di George Orwell. Lo scrittore inglese immagina un mondo suddiviso tra tre potenze totalitarie in costante guerra tra loro, impegnate a sottomettere i cittadini anche attraverso un bombardamento di messaggi tesi a condizionare i comportamenti facendo credere che l’autonomia costituisca una prigione e che, al contrario, la schiavitù sia la vera libertà. La brillante fantasia di Orwell, sbocciata sul finire degli anni ’40 in un’Europa ancora ferita dal conflitto bellico, offre spunti profetici. Il mondo oggi non è alla mercé di tre regimi totalitari, gli eccessi repressivi descritti dalla sua abile penna sono fortunatamente poco o per niente diffusi in gran parte del pianeta, ma alcune circostanze del romanzo sembrano davvero riecheggiare nella realtà odierna.
La pioniera azienda svedese
Già nel giugno 2017 In Terris si era occupato di un fenomeno diffuso in Svezia. Un’azienda di hi-tech del Paese scandinavo aveva iniziato ad offrire dal 2015 la possibilità ai dipendenti di farsi impiantare dei microchip nelle mani. Un anno e mezzo fa erano centocinquanta sui tremila totali, i dipendenti che avevano accettato la stravagante proposta. Questi minuscoli apparecchi elettronici sottopelle, la cui applicazione avviene oggi su scala ristrettissima in tutto il mondo, venivano e vengono tuttora usati al posto dei cartellini, per usare le stampanti o per pagare la mensa e le macchinette che distribuiscono cibo e bevande. “Il beneficio più grande è la comodità. Sostanzialmente sostituisce un sacco di cose che hai, dalle chiavi ai badge”, spiegava il direttore generale dell’azenda svedese.
Quattromila nuovi “uomini cyborg”
Ebbene, quella che sembrava una realtà di nicchia si sta diffondendo come un’epidemia contagiosa. In Svezia – come riferisce un servizio del Tg1 – sono già in quattromila ad essersi sottoposti a questa veloce operazione per avere, sottopelle tra l’indice e il pollice, un oggetto minuscolo ma capace di registrare dati che vanno da quelli della carta di credito a quelli della tessera sanitaria. Il nuovo modello scandinavo di “uomo cyborg”, dunque, può acquistare prodotti semplicemente passando la mano vicino a un sensore e, con lo stesso gesto, può aprire la porta di casa, accedere a cure sanitarie o, come l’azienda hi-tech ha insegnato, timbrare il cartellino sul posto di lavoro. Il costo? Non elevatissimo: il microchip si ottiene con poco più di cento euro. A lanciarsi in questa proficua attività imprenditoriale in Svezia è stato, ormai cinque anni fa, un piercer professionista (cioè uno che per lavoro effettua piercing a chi lo desidera). Il successo della sua idea ha travalicato i confini svedesi: richieste giungono dalla Gran Bretagna, mentre negli Stati Uniti si tratta di una realtà che va già affermandosi; il Tg1 spiega che nel Wisconsin un anno fa circa cinquanta dipendenti di un’azienda hanno seguito l’esempio dei lavoratori svedesi facendosi impiantare il microchip sottopelle.
C’è chi dice no
Il fenomeno è dunque destinato a crescere. Il sito di informazioni giuridiche e consulenza legale Studio Cataldi spiega che talmente alta è la richiesta che per ora “le industrie del settore non sono riuscite a far fronte alle domande“. C’è, tuttavia, chi oppone un fermo “no” a questa sorta di nuova moda scandinava. L’allarme giunge da alcuni settori del mondo sindacale: raccogliere informazioni su comportamenti professionali e personali, dati medici ed altro ancora, tracciando ogni passo, non fa altro che ledere la sfera privata dell’individuo. Eppure – come riferisce al Tg1 una donna, tra le persone che in Svezia si sono sottoposte all’iniezione del microchip – per qualcuno cedere la propria privacy non ha molta importanza, dal momento che il microscopico oggetto sottocutaneo rappresenta una forma di libertà “dalla schiavitù delle password”. Come a dire, pur di non dover fare lo sforzo mentale, benché libero, di ricordare qualche cifra, si è disponibili a diventare oggetti del controllo da parte di terzi. Pare che l’orwelliano motto “la libertà è schiavitù” sia stato davvero profetico.
Fonte: Federico CENCI | InTerris.it