Nel rispetto occorre reciprocità e a fare il primo passo deve essere la scuola, proprio per il ruolo che ricopre. Questo non vuol dire liberalizzare la violenza verbale e fisica contro gli insegnanti. Ma vera educazione: esprimere interesse sincero per la persona dell’alunno e da modalità relazionali cordiali e collaborative tra docenti.
Caro Direttore,
mi associo all’amico Lepore nell’apprezzare il provvedimento dell’assessore veneto Donazzan volto a ripristinare nella scuola, almeno a livello formale, un atteggiamento di rispetto nei confronti dei docenti da parte di alunni e genitori.
Tuttavia il quadro della scuola delineato da Lepore pecca di obiettività. Perché i primi che devono rispetto sono proprio i docenti e la scuola nel suo complesso. Infatti i docenti non devono rispetto ad alunni e genitori solo per educazione, ma anche perché educatori. Come può chiedere rispetto il docente facile al turpiloquio, l’insegnante di Latino che non sa il Latino, l’insegnante di Fisica che non sa la Fisica e continua a danneggiare se non rovinare intere generazioni di studenti, l’insegnante di Matematica che per mettere in mostra la sua superiore intelligenza semina quattro a quel branco di deficienti, quel docente che sbuffa al pensiero del consiglio di classe in presenza dei genitori e quel docente che sbuffa direttamente non appena messo piede nell’atrio della scuola, quella scuola che ti fa cambiare maestra quattro volte da settembre a dicembre, quel preside o quel ministro che introduce subdolamente l’ideologia gender, quel ministro che discrimina gli alunni che frequentano le scuole paritarie, negando alle famiglie la costituzionale libertà di scelta educativa?
Nel rispetto occorre reciprocità e a fare il primo passo deve essere la scuola, proprio per il ruolo che ricopre. Questo non vuol dire liberalizzare la violenza verbale e fisica contro gli insegnanti; naturalmente occorre continuare a chiedere educazione, sempre, anche quando non si dà educazione. Ma l’impresa diventa proibitiva, soprattutto ai nostri tempi, dove i social spingono a livelli di abiezione maldicenze, malignità, cattiverie, calunnie e i cellulari di tutte le componenti scolastiche non ne sono esenti.
E allora che fare? La vera educazione, il riconoscimento del ruolo, l’autorevolezza del docente non sorgono da un’imposizione normativa, ma da una modalità di rapporto capace di esprimere interesse sincero per la persona dell’alunno e da modalità relazionali cordiali e collaborative tra docenti. Insomma è l’ambiente di apprendimento fatto di persone, docenti, dirigente, segretarie, bidelle, cuoche, educatori che determina il clima. Un clima attento, accogliente, laborioso, lieto indurrà naturalmente l’alunno a rispettare le persone che glielo offrono, senza particolari forme di imposizione.
Un sorriso “buono” guardando negli occhi l’alunno è spesso più efficace di un decalogo.
Giuliano Romoli
RIPRISTINARE LA DISCIPLINA NON BASTA SE NON SI RIPRISTINA LA VERITA’
Giusto ripristinare il decalogo delle regole formali da rispettare, come sta facendo l’assessore veneto Donazzan. Ma non basta ormai più. L’indisciplina scolastica è figlia del suo tempo, dell’allontanamento dalla legge naturale e dalla verità. Nell’era del relativismo le classi diventano campi di battaglia. E purtroppo anche la Chiesa è assente.
Caro Direttore
Dobbiamo dire grazie all’assessore del Veneto Donazzan per aver riportato al centro il tema dell’educazione nella scuola che, sulla strada del “vietato vietare” di sessantottarda memoria, è divenuta oggi la palestra in cui si esercita ogni tipo di maleducazione, in assenza di regole di comportamento e in nome di uno spontaneismo che consente ogni tipo di atteggiamento dei giovani e talvolta dei genitori nei confronti dei docenti.
Giusto quindi ripristinare il decalogo delle regole formali da rispettare, quali l’alzarsi in piedi quando entra l’insegnante, non apostrofarlo con il tu, come fosse un compagno, usare toni rispettosi e quant’altro: l’atteggiamento esteriore come segno di una consapevolezza da parte dell’alunno che l’insegnante ricopre quel ruolo in quanto ha conseguito, in seguito allo studio, dei meriti in quella determinata branca del sapere che è in classe a trasmettere.
Ma ripristinare regole di buona educazione e limitarsi a questo non farà andare lontano. Se si è arrivati al punto in cui la scuola sembra un campo di battaglia dove ragazzi ingovernabili fanno il bello e il cattivo tempo, la ragione è ben più profonda e grave e va ricercata nell’illusione che nella scuola, figlia e specchio di una società in cui relativismo, individualismo, soggettivismo sono devenuti i soli valori, mentre non esiste più un’etica condivisa agganciata al diritto naturale, si possa somministrare istruzione, contenuti e saperi a prescindere da ogni valore che non sia un diffuso e insipido buonismo.
Come afferma Romano Amerio, nella scuola il rapporto non è, come da molti si crede, fra due persone, l’allievo e il maestro, ma, come affermava la Chiesa, quasi unica educatrice e erogatrice di istruzione nei secoli scorsi, è un rapporto a tre, di entrambi cioè con il mondo dei valori, con la verità “non è il maestro che il discepolo deve conoscere, ma entrambi il mondo dei valori e ad esso drizzare insieme l’occhio”.
Se perdiamo di vista la verità delle cose e la verità della persona con il suo senso, la sua unitarietà, il suo fine, non basteranno certamente alcune regole di bon ton per far ridiventare la scuola quella palestra di vita in cui intere generazioni per il passato si sono formate. Purtroppo pare che promuovere oltre che l’istruzione anche la formazione integrale della persona, in vista del suo fine, sia convinzione ormai accantonata anche dagli ultimi pronunciamenti della Chiesa. Nel capitolo VII dell’esortazione sinodale Amoris laetitia, che verte appunto sull’educazione dei giovani, si trovano solo argomentazioni tratte dalla sociologia e dalla psicologia a sostegno del discorso del Papa dal quale è assente ogni riferimento al progetto di Dio e al destino ultimo dell’uomo. Sono invece frequenti consigli e suggerimenti su come abituarsi a salutare, a chiedere scusa e permesso, fino a reimpostare le abitudini di consumo per un’ecologia integrale della famiglia.
Marisa Orecchia