Signore, fatti vedere». Una frase, sentita tante volte, affiora nella mente: «
La realtà non mi ha mai tradito. Ma ora cosa significa? Fai Tu. Io da solo non ce la posso fare».
La prima realtà è il reparto di Oncologia pediatrica del Sant’Orsola di Bologna, dove Anna è seguita. È l’impatto con un’umanità fuori dall’ordinario. Come la dottoressa che con calma si ferma oltre l’orario di lavoro a parlare con Anna per chiarire dubbi e paure. O l’infermiere che dal microfono del reparto dice battute e scherza con tutti e la notte ripassa una per una le cartelle cliniche, ricontrollando i dati per non perdere un particolare dell’andamento dei piccoli pazienti. Quando Anna è in sala operatoria, la caposala dal quinto piano scende al secondo con il vassoio del pranzo e “obbliga” Daniela a mangiare perché «una mamma, per essere in grado di sostenere la figlia, deve avere cura di sé stessa». La malattia, il dolore ci sono sempre, ma a contrastarli c’è un sovrappiù di bene che si impone, che lascia stupefatti. Bisogna solo guardarlo. Un bene che per i genitori di Anna va oltre le mura del Sant’Orsola.
Un giorno, un collega di Otello, scorrendo i turni, gli dice: «Ma tu lavori il giorno della Befana e non mi dici nulla? Lascia perdere, vengo io al tuo posto».
La settimana dopo, è un’altra collega a sostituirlo nel turno del sabato. E lui non aveva chiesto nulla. Per Anna pregano gli amici, i bambini della scuola, i sacerdoti in missione, c’è chi va in pellegrinaggio, chi torna a messa. Una vicina buddista si presenta a casa di Otello e Daniela per dirgli che sta facendo pregare con una catena di daimoku tutti i buddisti di Imola, dove vivono, e gli racconta di sé. Fino a qualche settimana prima, la comunicazione si risolveva ad un «buongiorno» e «buonasera».
Ed Anna, che è all’origine di questa storia? Cosa vuol dire per lei che la realtà non tradisce? A quattordici anni, da un giorno all’altro, deve lasciare la scuola, le gare di equitazione, gli amici, per affrontare il dolore, la rabbia, le terapie, la spossatezza, la paura che quella parola, “sarcoma”, evoca. Gli infermieri, i pazienti e i medici diventano i suoi nuovi amici, hanno quel carico di umanità fuori dall’ordinario che le fa affrontare paura, dolore. La fa vivere. Le sembra di essere dentro la sua fiction preferita: Braccialetti Rossi, che vedeva prima di ammalarsi, dove si racconta la storia di un gruppo di ragazzi ammalati dentro un reparto di oncologia.
Durante uno dei primi ricoveri, attraverso un’amica comune del movimento, va a trovarla Chiara Locatelli, medico nel reparto di Pediatria. Non si ferma molto, ma quando esce dalla stanza, Anna dice alla madre: «È proprio vero che le persone del movimento sono diverse». Otello rimane di stucco, pensando quante volte aveva cercato di avvicinarla all’esperienza di CL. Forse per quella nuova amicizia che diventa quotidiana, forse per quello che sta succedendo, la ragazza ricomincia ad andare a messa e a pregare. Per sé e per gli altri.
Una sera, Chiara invita la famiglia di Anna a casa sua a cena. Alla fine, inviano un selfie a Riccardo Masetti, l’oncologo che ha in cura Anna, con la didascalia: «Mancavi solo tu». Lui risponde: «Voglio molto bene ad Anna e alla sua famiglia, a volte tutto diventa molto vorticoso e si perdono di vista le persone, che sono la cosa più bella del nostro lavoro. Per fortuna invece a volte ci si ferma un po’».
Frequentando la famiglia di Chiara, Anna diventa amica della figlia Maria. In comune le due ragazze hanno la passione proprio per la famosa fiction Braccialetti Rossi ispirato alla storia vera del regista e sceneggiatore spagnolo Albert Spinoza. Gli episodi li hanno rivisti più volte. I testi di alcune canzoni li sanno a memoria. Un giorno Anna dice all’amica: «Chissà se gli attori sono amici anche nella realtà? Mi piacerebbe conoscerli. E anche il regista, cosa aveva in mente?». Maria ci pensa su e chiede un appuntamento al nonno, Francesco Bernardi, industriale bolognese e presidente dell’associazione culturale “Incontri esistenziali”. La ragazza va subito al sodo: «Organizzi uno dei “tuoi” incontri con il regista e gli attori di Braccialetti Rossi? Il tema è l’amicizia. Anzi come l’amicizia aiuta ad affrontare il dolore». Franco non ha mai visto la fiction, ma ha conosciuto Anna e la sua famiglia, ha visto l’amicizia che è nata. Qualcosa di prezioso per tutti. Ne parla con Chiara che a sua volta è a digiuno di Braccialetti Rossi. Entrambi si mettono davanti alla tv, entrambi decidono che si può dare credito a quelle due ragazzine, per quello che Anna sta vivendo in reparto, per quell’amicizia che sta cambiando lei, la sua famiglia e tanti altri. Per quella domanda di senso che ad Anna aveva fatto dire: «Questo periodo della mia vita non voglio chiamarlo “malattia”, ma “esperienza”. Non rimpiango nulla, ho guadagnato molto».
Prendono contatto con i protagonisti della serie. Un mese prima dell’evento, tramite Sabina, insegnante, un gruppo di ragazzi di GS di Bologna incontra Anna. Hanno visto la fiction e hanno anche loro delle domande da porre. Il programma dell’incontro subisce cambiamenti praticamente fino all’ultimo giorno.
Il 16 gennaio il Teatro Duse, in centro a Bologna, è strapieno, balconate comprese. Sul palco, da una parte ci sono il regista Giacomo Campiotti, Carmine Buschini e Pio Luigi Piscitelli, che in Braccialetti Rossi interpretano Leo e Toni, Niccolò Agliardi, autore e cantante della colonna sonora, e il medico Riccardo Masetti,; dall’altra: Anna, suo papà Otello, gli amici d’ospedale, i ragazzi di GS.
Chiara, nei panni di conduttrice, racconta da dove nata quella serata. Pochi minuti di video della fiction e partono le domande dei ragazzi. «I personaggi che interpretate vi rappresentano? E Braccialetti Rossi vi ha cambiato?». Spiega Carmine: «Leo lo abbiamo costruito giorno per giorno. In alcuni tratti ci assomigliamo, per altri io lo ammiro. Questo progetto mi ha insegnato a chiamare le cose con il loro nome facendoti aiutare da chi ti vuole bene. A livello umano mi ha cambiato completamente, mi ha fatto vedere che la felicità vera è quella delle piccole cose». Pio è come il suo personaggio: intriso di napoletanità. Scappano le risate per una battuta detta a Carmine o a Giacomo. Comincia ad affiorare che quel lavoro ha inciso sulla loro vita, un’esperienza bella che lì possono raccontare.
La seconda domanda è per Campiotti: «In Braccialetti Rossi l’amicizia è ciò che permette di stare di fronte anche alla malattia. Da dove è venuta l’idea?». «L’amicizia è il tema centrale di questa serie e della vita», esordisce il regista: «Cioè renderci conto che non siamo soli. Viviamo in un’epoca di solitudine incredibile, un imbarbarimento. Il film fa vedere la gioia nel posto più doloroso: un reparto di oncologia. È la gioia di poter condividere le cose belle e quelle brutte. Condivisione con le persone che la vita ti mette davanti. In ospedale devi trovare degli amici veri perché devi trovare il senso della vita. Questo ha affascinato i ragazzi: una proposta semplice». Un’amicizia desiderabile.. «Ma siete ancora amici?», chiede un ragazzo. «Inaspettatamente, in modo inscindibile, fiction e realtà si sono mischiati», racconta Niccolò Agliardi. «Ci conosciamo da cinque anni e non è passato un giorno che non abbia sentito almeno uno di loro. Pur avendo preso strade differenti, anche se si è lontani, c’è il desiderio di sentirsi. È qualcosa di sorprendente».
Sul grande schermo passano spezzoni della fiction che introducono altri temi e altre domande. Nessuna risposta formale o preconfezionata, ognuno parte sempre dalla propria esperienza. Non mancano le battute, come si fa tra amici. Anna racconta di quello che ha vissuto in ospedale. Del rapporto con i dottori. È Chiara, anche come medico, a domandare al dottor Massetti: «Perché questo può avvenire?». «Quando un ragazzo è ricoverato, l’incontro non è tra il medico e la malattia. Si instaura una relazione dove le emozioni sono ancora più vive. In ospedale cadono formalità e sovrastrutture, la vita scorre più veloce nel creare queste relazioni, le emozioni stesse, i sentimenti diventano più veri». «Tu per noi sei stato fondamentale. Ma noi, pazienti, come abbiamo influito su di te come medico e come persona?», chiede una ragazza. «Si va dritti al cuore! La crescita professionale corrisponde alla crescita umana. Con voi io ho provato sconforto, paura, ma sono anche stato molto gratificato nel vedervi cambiare. Ma siamo cambiati insieme».
Altri minuti della fiction, poi è Otello a prendere il microfono. «Ho solo una parola: grazie. Di essere qui e anche di tutto quello che è avvenuto. Braccialetti rossi e questa serata ci fanno vedere che nel dolore c’è un bene, da cercare e insieme è più semplice. Questa è stata la nostra esperienza. Dentro un’amicizia è possibile vivere così».
Un’ora e mezza vola via senza quasi accorgersene. Chiara dà la parola a una ragazza per l’ultima domanda: «Voi avete un luogo di speranza, dove poter respirare?». La risposta per tutti è la stessa: la famiglia. Per Carmine «è il mio porto sicuro, dove posso ricominciare. E questa sera mi hanno fatto la sorpresa di essere qua!». Pio: «Anche per me, e aggiungo le mie passioni: suonare, dedicarmi a chi amo e a ciò che amo». Nicolò: «La famiglia e i miei musicisti con cui condivido un pezzo di vita». Ultimo Campiotti: «Sì certo, la famiglia; ma molto gli amici. L’amicizia è una delle forme più alte quando è profonda e libera. Vuol dire percorrere la stessa strada».
«Questa serata ci dice che si può guardare la realtà senza partire dalla paura, ma da una domanda e questo è possibile non da soli. Chiedere cose grandi e amici all’altezza di cose grandi», conclude Chiara.
Parte il video della sigla di Braccialetti Rossi. Carmine scende di corsa i gradini per abbracciare la sua famiglia, Nicolò e Pio si avvicinano a Otello per ringraziarlo di quello che ha detto. Campiotti si ferma a parlare con Franco. Il teatro fa fatica a svuotarsi. Sembra che nessuno abbia voglia di andare via. Si scattano selfie e foto per fermare quel momento.