Andranno in onda questa sera la terza e la quarta puntata de “Il nome della Rosa”, la fiction Rai ispirata a Eco. Alcune riserve
Andranno in onda questa sera la terza e la quarta puntata de Il nome della Rosa, la produzione internazionale promossa dalla Rai sull’omonimo libro di Umberto Eco. E il sapore internazionale in quest’opera c’è tutto: il cast, il soggetto rimaneggiato per un’opera di quattrocento minuti, la fotografia contribuiscono a mettere in moto il cavallo di viale Mazzini che – in tema di serie tv – è ancora profondamente in difficoltà nella stesura dei dialoghi e nella costruzione delle scene, decisamente molto teatrali e poco cinematografiche. Ma al di là del giudizio tecnico, che comunque promuove l’ottimo lavoro di questo lunedì di marzo, è sul tema del messaggio e dei contenuti che la strada è ancora lunga da fare.
Infatti, esattamente come il libro e il film, la serie Tv Il nome della rosa prende il medioevo e lo riduce ad un’accozzaglia di pregiudizi. Sia chiaro: chi scrive rifugge ogni interpretazione mitica dei tempi che furono e trova mestiere più adatto agli storici che agli scrittori promuovere o stigmatizzare un’epoca, eppure guardando la serie è chiaro che personaggi e vicende sono costantemente manipolati per parlare all’attualità del nostro tempo, per promuovere un’idea di cristianità divisa tra chi vorrebbe trasformare l’Europa in una ridotta integralista cattolica e chi, al contrario, vorrebbe salvarla restituendole la fede cristiana pura e cristallina delle origini. Ma non funziona così, e non solo perché l’uomo puro – come il santino illuminista Guglielmo protagonista dell’opera – non esiste nella realtà, ma anche perché la stessa realtà, dal matrimonio agli amici, dal dolore alle dipendenze che nascono, non è addomesticabile, non è prona ai disegni dell’uomo.
Parafrasando un’affermazione di Eliot, noi non possiamo illuderci di poter creare sistemi così perfetti da poter fare a meno di essere buoni. Questo non è vero né per chi oggi ci racconta che basterebbe sistemare i “cattivi” per costruire un mondo migliore (date un’occhiata agli scioperi per l’8 marzo o alla mobilitazione generale per il clima del 15 marzo che tanto sta coinvolgendo i ragazzi dopo decenni di apatia politica), né per chi ci dice che aver lavorato tanto per il proprio paese o per la propria regione significhi che si possa anche chiudere un occhio sulle condotte e sulle vicende private di quei singoli (e qui vicende e processi da guardare non mancano davvero).
Viviamo in un mondo cattivo, che è sempre stato cattivo, un mondo che ha osannato liberatori ad ogni angolo di strada, per poi gettarli nel fango e sfogare su di essi il rancore di una vita. La rivoluzione cristiana non consiste in un monastero dove non ci sono peccati o in un tempo dove Dio pensa e fa tutto e noi fatalisticamente camminiamo costruendo uno splendido avvenire; no: la rivoluzione cristiana è la tenerezza e la misericordia che il Verbo di Dio ha avuto per l’umano, al punto da toccarlo, da abbracciarlo, da perdonarlo. Il giorno dopo che uno dice “ti amo”, che uno capisce una cosa, che uno si sposa o arriva a rendere grazie per un dolore, il giorno dopo è tutto come prima perché tutto ogni giorno deve essere riconquistato e ciò che regge all’urto del tempo è ciò che è diventato nostro attraverso la nostra esperienza, attraverso la nostra carne.
Fa impressione guardare Il nome della rosa e percepire latente lo scandalo per una redenzione che sembra non essere avvenuta perché incapace di sterminare il male. Ma la Redenzione non è lo sterminio del male: la Redenzione è il riconoscimento di una Presenza dinnanzi alla quale c’è spazio, c’è posto, per il mio e per il tuo male. Dinnanzi alla quale si può anche perdonare. Quando la Chiesa è impegnata a gestire ciò che ha, difficilmente segue ciò che c’è. La Chiesa medievale era tronfia di potere e di ingordigia, in preda ad un delirio di onnipotenza che tanto male ha fatto alla vita degli uomini. Ma questo non le ha impedito di essere portatrice di Grazia, portatrice di Redenzione. Difendere certe forme, schierarsi per comportamenti e modi al tempo in sintonia con lo spirito di quei giorni, ma oggi moralmente riprovevoli, è stupido prima che livoroso.
Ed è per questo che questo nostro tempo, al contrario, è splendido: perché ci fa tornare così poveri, così privi di tutto, da poter guardare ed abbracciare – se la piantiamo di fare i capricci – soltanto quello che c’è. Quel Tu che inquieta la vita del giovane Adso, l’altro protagonista della serie, e che lo conquista davvero. Prima di ogni peccato, prima di ogni ideologia. Regalando a tutti, senza neanche saperlo, il metodo della vita: seguire ciò che è vivo, seguire ciò che in ognuno di noi risveglia il bisogno di essere uomini. E di sapere come si faccia a vivere.
Fonte: F. Picchetto | Il Sussidiario.net