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LETTURE/ Leopardi e noi: consigli per vivere con l’infinito addosso

I grandi testi non bisogna capirli, bisogna com-prenderli, prenderli con sé, altrimenti moriranno. L’ultimo libro di Davide Rondoni

È un vero problema: cosa ce ne facciamo dei testi della tradizione, delle poesie, dei racconti che leggiamo e studiamo forse a scuola, in quella che sembra sempre più una parentesi in mezzo a un discorso che parla di tutt’altro? Si tratta di una specie di imbarazzo che parte perfino dagli insegnanti, i primi che  quei testi propongono: a che serve?

Davide Rondoni, che fa il poeta e non l’insegnante e che con un certo modo di insegnare la letteratura ci ha anche litigato, risponde in maniera sorprendente alla domanda. I grandi testi non bisogna capirli, bisogna com-prenderli, prenderli con sé. E, in qualche maniera, tenerli sempre vicini, portali ovunque, in casa, in viaggio, al lavoro, farli diventare non un oggetto di studio ma un soggetto vivente, pulsante, accompagnante. Ce lo mostra con questo piccolo libro dedicato alla poesia italiana che ha il primato di essere la più commentata e imparata (e forse travisata), L’infinito di Giacomo Leopardi, scritta esattamente duecento anni fa. Il libro di Rondoni si intitola E come il vento – L’infinito, lo strano bacio del poeta al mondo (Fazi Editore, 2019) e si legge come se si viaggiasse, allo stesso modo di come Davide Rondoni ha letto la prodigiosa poesia di Leopardi.

Impossibile non implicarsi, difficile restarne fuori: “Il ragazzo che mormora ‘infinito’ mi fissa mentre viaggio in qualche parte sperduta d’Italia o del mondo. Sai cos’è vivere con l’infinito addosso? Viaggia, viaggia pure, sembra dirmi. Ama, soffri, scrivi, abbraccia le cose della vita. E cerca l’infinito”. Forse Rondoni scopre l’uovo di Colombo: vuoi vedere che per comprendere una poesia come L’infinito di Leopardi (persino a scuola) bisogna parlare dell’infinito? Il che vorrebbe dire che per affrontare Petrarca bisogna parlare dell’amore, o per comprendere la Divina Commedia bisogna avere domande sul destino dei nostri atti… chissà.

Davide Rondoni fa proprio questo: nella prima parte di questo libro prende con sé il testo di Leopardi e lo fa giocare con quello che è la sua vita, i suoi incontri, le sue conoscenze: lo vediamo al fuoco della controversia della vita, come avrebbe detto Mario Luzi, uno dei grandi maestri di Rondoni assieme almeno a Ezio Raimondi, che interviene puntualmente in questo libro. L’infinito viene connesso a grandi amicizie come Roberto Benigni o lo studioso del cervello e del linguaggio Andrea Moro, si cerca ciò che ne hanno detto i grandi poeti (uno fra tutti: Giuseppe Ungaretti), non per cercare reperti bibliografici, ma per essere accompagnati nell’affondo da chi, prima di noi ma con la stessa sete, ne ha fatto esperienza. E pian piano ne esce fuori il ritratto di uno che, davvero, ne fa esperienza. Forse è questa ipotesi di metodo che fa del libro di Davide Rondoni il volume di saggistica più venduto attualmente su Amazon.

Nella seconda parte del libro, Lettura dell’Infinito, si entra più a fondo nel testo. Ancora una volta non si tratta di un commento filologico, ma di un viaggio in cui più vicino allo sguardo si mettono le parole e i versi del testo. Rondoni ama ripetere nel libro che tutto ciò che succede, succede non altrove dalla poesia. Questo gli permette di non dare eccessiva importanza alla critica delle varianti e delle versioni precedenti, tutto ciò che serve è nel testo così come è stato consegnato alle stampe da Leopardi. Ciò non gli impedisce di farci dare un’occhiata al percorso di scrittura col quale il poeta di Recanati è arrivato alla versione definitiva, facendoci vedere alcune autentiche pepite.

Non sapevamo, ad esempio, che nella primissima versione della poesia la siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte esclude lo sguardo di Leopardi era un roveto, con tutto il portato di senso e il riferimento che questa parola implica. Seguire la lettura di Rondoni porta ad un’intensa esperienza di contatto col testo. Uno dei punti chiave è il passaggio “E come il vento/odo stormir tra queste piante…”. Non a caso è stato scelto da Rondoni come titolo del suo libro. Diremo qui in sintesi che è il punto in cui Leopardi, smettendo di “fingersi nel pensiero” l’idea dellinfinito, lo avverte coi sensi, avvertendo il vento. Come a dire: per credere nell’infinito occorre averlo visto. Averne avuto esperienza concreta, secondo il suggerimento leopardiano che sta nel cuore di questa poesia.

Si ha l’impressione che tutto il libro di Rondoni vada in quella direzione, tanto che alla fine lo scopo è raggiunto. Abbiamo certamente capito qualcosa in più di questa pietra miliare della nostra storia culturale, ma soprattutto l’abbiamo da adesso in poi com-preso meglio, decidendo di tenerlo per sempre con noi.

Fonte: Gianfranco LAURETANO | IlSussidiario.net

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