Il grande velista italiano racconta la sua impresa più importante sulla terra ferma, la famiglia: “Il padre è quello che ti fa fare le esperienze, il mammo quello che ti protegge e ti avvolge nella bambagia”.
Leggendo il titolo dell’intervista che Giovanni Soldini, grande campione italiano della vela, ha rilasciato al Corriere mi era nata una forte amarezza: «Sono un padre e un marito anomalo». Intravedevo l’idea di una narrazione ideologizzata, quella che subiamo spesso negli ultimi tempi: c’è una voglia spasmodica di disintegrare l’immagine della famiglia, di raccontarne tutte le alternative possibili e di puntare il dito sui lati oscuri di quella tradizionale.
Per fortuna, l’ideologia era solo nel titolo … e sappiamo bene che i nostri tempi di lettura velocissimi ci fanno quasi sempre saltare a pié pari i contenuti, limitandoci a trattenere solo le poche parole che campeggiano in testa a un articolo. Forse l’ideologia era solo nei miei occhi, e allora meglio così.
Squilibrati
Nel raccontarsi Soldini descrive, certo, la sua figura di padre e marito che per mestiere è stato fisicamente lontano dai suoi cari, ma non ha mai abdicato al ruolo di padre e anzi lo vive appieno. L’anomalia che emerge dal suo ritratto è quella di ogni famiglia, ed è un’anormalità benedetta e comune: nessun nucleo familiare è o dovrebbe essere uno stereotipo vivente. Avere dei ruoli non significa essere delle marionette. Quando un marito e una moglie mettono in piedi un’impresa domestica costruiscono un regno di libertà … basato su vincoli.
I legami danno all’uomo la libertà, strano a dirsi: marito e moglie, padre e madre, sono protagonisti di una storia unica in cui la collaborazione reciproca non ha un copione scritto basato su equilibri prefissati (“se tu hai un lavoro che ti soddisfa, anche io devo fare carriera” – “se io porto i figli dal pediatra, tu li porti a calcio”). Il legame affettivo permette di essere squilibrati e felici, liberi di non essere alle dipendenze di un contratto fisso, ma operosi in un disegno comune.
Soldini ha una moglie e 4 figli. Se lui è stato per tanti anni a navigare in mare, l’altra metà della coppia deve essere rimasta in porto a crescere la prole: nessuna ingiustizia, nessuna sottomissione, nessuna nube di violenza di genere in questa storia. Solo un’esperienza vera di famiglia.
Un dislessico stupefacente
Giovanni Soldini conosce bene il significato della libertà, «uomo libero, sempre amerai il mare» – scrisse Baudelaire. Nella gioventù il primo volto di libertà che s’incontra è quello del non fermarsi, del voler essere altrove, del non sentirsi legati a nulla.
Scappò di casa, lui, quando era al liceo, la dislessia gli rendeva difficile lo studio e scelse di prendersi un tempo di riflessione; si congedò dalla famiglia con una lettera che si concludeva con una frase epica (e terribile per i genitori):
«Se chiamate la polizia, venitemi a cercare in India»
La barca e il mare diventano compagni di ricerca, più che di fuga. Nel 1982 Giovanni compie per la prima volta la traversata dell’Oceano Atlantico in solitaria e non è ancora maggiorenne. Col tempo arrivano i grandi successi sportivi eppure lui non è il tipo solitario che sta male sulla terraferma: il mare è il suo elemento, ma in porto ha degli amici e si affida a cose solide. Si definisce manutentore, le barche se le costruisce da solo.
Un aspetto meno appariscente della libertà, ma non meno esaltante, è la spinta verso il gioco di squadra. Anni di vita in mare aperto tra regate e viaggi in solitaria portano in dote a Soldini questo sguardo sulla realtà:
Io non credo in Dio, ma il mare mi ha insegnato che noi siamo molto piccoli (da Elle).
Piccoli non significa insignificanti; la prospettiva del piccolo non è l’anticamera del pessimismo, ma della collaborazione. Una delle imprese più belle che il velista italiano ha fatto è stata sulla terraferma, memore – forse – di quanto in mezzo alle burrasche e ai naufragi ci sia bisogno di trovare altri marinai amici.
Mentre la carriera velistica gli consegnava grandi medaglie e soddisfazioni, Giovanni Soldini era anche marito e padre. Da marinaio che costruisce, da manutentore che naviga come ha guardato i propri figli e la propria compagna di viaggio?
[…] quando a una festa ho incontrato un amico che lavorava per una delle comunità di Saman (comunità di recupero terapeutico – NdR) , gli ho detto: «La costruisco lì, la mia barca. Così imparano un mestiere che possono rivendersi»; mi offrirono una stalla nella comunità di Latina. Ho passato ore a cercare cacciaviti nello sterco, ma è stata una storia pazzesca.
Fu battezzata Stupefacente la barca che uscì da quel capannone. L’immagine di questo lavoro comune che permette a una navicella singola di prendere il largo ci porta quasi naturalmente al tema della famiglia. Ogni navigazione nel mare tempestoso dell’esistenza è da fare in solitaria, prendendosi cioè la responsabilità di una vocazione personale chiara; ma ogni navigazione non accade da un giorno all’altro, si prepara sulla terra ferma con un lungo lavoro comunitario.
Mentre la carriera velistica gli consegnava grandi medaglie e soddisfazioni, Giovanni Soldini era anche marito e padre. Da marinaio che costruisce, da manutentore che naviga come ha guardato i propri figli e la propria compagna di viaggio?
Il padre è l’uomo delle esperienze
Sul suo canale Youtube scorrono le immagini di una carriera in mare aperto, ma oggi, a 53 anni, Soldini vive a Sarzana con sua moglie Benedetta e quattro figli Martina (22 anni), Gerolamo (19), Alice (15), Leo (11). Insieme al giornalista del Corriere che lo ha intervistato fa il punto sulla propria vita adulta in cui la passione per il mare per molto tempo ha riempito completamente l’orizzonte. Del suo rapporto con la moglie emerge un quadro meno straordinario di quel si immaginerebbe, vale a dire sbilanciato ma senza una prevaricazione egoistica:
Una santa no, ma una donna tosta si. Non è facile una vita in coppia, con gli Oceani di mezzo, è vero, ma mi pare che non lo sia per chiunque. E’ complicato per tutti. Lei ogni tanto mi racconta che la moglie del nostro pescivendolo le dice sempre “beata, almeno suo marito ogni tanto è lontano, il mio non va neppure allo stadio”. Certo che quando torno e lei ha già risolto tutti i problemi e a me sembra di non contare un tubo. (Corriere)
In un’intervista precedente si era lasciato andare a usare anche il termine “santa”, con l’accezione evidentemente realistica di chi ha a cuore ciò che fa anche se non è un ruolo apparentemente nascosto:
E infatti mia moglie è una santa. A mio figlio di 9 anni ho regalato una sveglia e gli ho detto: «Adesso ti vesti e vai a scuola. Qua c’è la bici, arrangiati». Invece giustamente lei va a controllare che la bici sia davanti alla scuola. (da Elle)
Al di là dell’eccezionalità del personaggio, la sua voce parla di una quotidianità in cui molti si riconoscono. Marito e moglie non sono metà identiche e separate, sono un’impresa che condivide la meta di un viaggio comune. La voce di ciascuno è diversa, i compiti a cui dedicarsi possono avere peso diverso, se il senso della fatica è condiviso: è quasi sempre così, in famiglia non c’è mai un momento in cui la fatica o la felicità si suddividono equamente sulle spalle dei coniugi. Quando si cade nella trappola dei ricatti e delle liste “io ho fatto – tu non hai fatto” il problema non è l’uguaglianza dei diritti, ma un’incrinatura profonda sullo scopo per cui si è assieme. Se lo scopo è amato e chiaro, il marinaio può stare una settimana a fare il cuoco e il capitano può cedere il timone.
E la truppa a bordo, cosa dice? I figli hanno bisogno di un padre e non di un mammo, dichiara risoluto Soldini:
Non sono un padre normale, me lo dice sempre mia figlia. Però do loro fiducia, sempre. Cerco di insegnarli a seguirsi a tutti i costi. Oggi avvolgiamo troppo i ragazzi, devono imparare a cavarsela da soli. Sono il teorico del fatto che la missione del genitore sia rendere i figli indipendenti prima possibile, faccio il padre, e non il mammo. La differenza? Il padre è quello che ti fa fare le esperienze, il mammo quello che ti protegge e ti avvolge nella bambagia. (da Corriere)
Se incontrassi di persona Soldini, su questo tema lo incalzerei. Sarà che nella mia comunissima famiglia questo pungolo mi preme sempre forte; mio marito è spesso lontano per lavoro, molti criticano questa sua distanza come fosse un padre distratto o manchevole. Difendo invece a spada tratta questi padri capaci di autorevolezza anche se non riescono a essere onnipresenti. Ed è vero che un padre educa anche attraverso la sua distanza, quando è solo geografica ma non affettiva. Un padre educa i figli suggerendo loro un viaggio, in cui – di necessità – non si sarà mai appicciati gli uni agli altri. La spinta nel regno delle avventure, anche senza troppi paracaduti, nella nostra famiglia viene dalla voce maschile, come in quella di Soldini. Si dirà che sono stereotipi? E’ violenza di genere attribuire al materno l’elemento prevalente dell’accudimento, piuttosto che dell’esplorazione? Non credo.
Nella letteratura di mare il “porto” e la “nave” non sono vissuti come stereopiti superati. La nave non svilisce il porto, e il porto non si sente insultato dalla nave. Abbiamo bisogno della mano che abbraccia e di quella che spinge. Una mano unica, polticamente corretta, sessualmente neutra e perfettamente bilanciata nel trattenere e spintonare sarebbe un non senso. Fuor di metafora, concordo col signor Soldini sul fatto che possiamo rinunciare senza rimpianti alla figura ibrida del mammo.