L’affaire Moro di Sciascia e la ribellione di Antigone, i rompicapi di Julio Cortázar e l’eredità di Primo Levi: a giudicare dalla qualità delle citazioni, era da un bel po’ di tempo che al Salone internazionale del Libro non si volava così alto. «Un anno fa eravamo discutevamo della rivalità fra Torino e Milano – osserva il direttore editoriale della manifestazione, lo scrittore Nicola Lagioia -, oggi ci confrontiamo sulle questioni fondamentali della convivenza democratica. Ci siamo arrivati attraverso un percorso molto complicato, è vero, ma è un valore al quale non possiamo rinunciare». La complicazione ha un nome e un cognome: Francesco Polacchi, titolare di Altaforte, la sigla romana vicina a Casa Pound la cui presenza al Lingotto è stata oggetto di una serie di contestazioni sfociate, a poche ore dall’apertura dei padiglioni, nella decisione di escludere la casa editrice dalla kermesse. La rescissione del contratto è il risultato di una forzatura almeno parziale (Polacchi è sì indagato per apologia del fascismo, ma in seguito a un esposto presentato dalla Regione Piemonte e dal Comune di Torino, che del Salone sono tra i principali promotori) e Altaforte, si mormora tra gli stand, ha buone possibilità di vincere la causa che ha già annunciato. Ne verrebbe un precedente di non facile gestione. Anche l’ipotesi di un codice etico, che pure ha cominciato a circolare, non sarebbe del tutto risolutiva e, anzi, rischierebbe di rinfocolare le accuse di censura.
Al momento, il più insistente nella denuncia del presunto pensiero unico è lo stesso Polacchi, che ieri mattina si è affacciato al Salone per fornire la propria versione dei fatti. Più ancora del dibattito ideale sulla libertà di espressione, secondo lui avrebbe pesato l’elemento politico. «È stato un attacco a Salvini», ha sostenuto riferendosi al libro-intervista Io sono Matteo Salvini firmato da Chiara Giannini. Che il volume abbia contribuito a scatenare la polemica su Altaforte è indubbio, così co- me che la polemica stessa lo abbia trasformato in un insperato best seller: la prima tiratura è già esaurita e la presentazione, mai inclusa nel programma ufficiale del Salone, si terrà comunque da qualche parte domani a Torino.
Un libro assente che domina la scena è un paradosso che non stonerebbe nel copione allestito attorno alla figura di Leonardo Sciascia da Christian Raimo, uno degli interlocutori più attivi nella querelle, a causa della quale si è dimesso dall’incarico di consulente del Salone. Una pièce dal titolo involontariamente profetico, Ha detto e si è contraddetto, andata in scena proprio mercoledì sera mentre il direttivo della manifestazione prendeva quella che Giulio Biino, presidente della Fondazione Circolo dei Lettori, ha definito «la scelta di Antigone»: qualcosa che va contro le cosiddette ‘leggi della città’ per rispondere a un più alto desiderio di giustizia. A fare la differenza, nel susseguirsi di dichiarazioni e proteste, è stata Halina Birenbaum, una delle ultime superstiti della Shoah. Prima di lei, altri avevano annunciato l’intenzione di boicottare il Salone qualora lo stand di Altaforte non fosse stato rimosso, ma è stata la sua determinata mitezza a mostrare che il problema, da giuridico e politico, era ormai culturale o, meglio, simbolico, come torna a ripetere Lagioia.
Allontanata la casa editrice, Halina Birembaum è diventata la protagonista della cerimonia inaugurale di ieri mattina, la cui struttura è stata rimodulata per lasciare spazio alla sua testimonianza. È stata lei, che nel Ghetto occupato fingeva di avere più dei suoi anni per sfuggire alla caccia scatenata dai nazisti contro i bambini, a richiamarsi al torinese Primo Levi, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita e la cui autorità è stata invocata anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio inviato al Salone. Presente per iniziativa dell’associazione Treno della Memoria e del Museo di Auschwitz, dove fu deportata, Halina Birenbaum ha ripercorso con inappellabile semplicità le tappe della tragedia personale e collettiva alla quale è sopravvissuta. Un episodio, in particolare, ha colpito chi l’ha ascoltata: «Quel giorno – ha raccontato – la temperatura nel lager era di quasi venti gradi sotto zero. Ci costrinsero a spogliarci completamente, a inginocchiarci nel gelo, a tenere le braccia in alto con un mattone in ciascuna mano. Qualcuno, ogni tanto, crollava a terra. Ma a un certo punto, non saprei dire da dove, si è levata una voce di donna. ‘Il mondo’, diceva, ‘il mondo: il mondo esisterà ancora, qualcuno parlerà di noi, scriverà di noi, girerà film su di noi’. Così è stato, io posso testimoniarlo».
Forse meno coinvolgente sul piano emotivo, ma non meno esplicito in termini di contenuti l’intervento che il filosofo Fernando Savater ha tenuto in nome della lingua spagnola, che quest’anno è stata indicata come ospite d’onore della manifestazione (gli altri ospiti sono una regione, le Marche di Leopardi, e una nazione, l’emirato di Sharja). Nel suo appassionato elogio dell’Europa, Savater ha avanzato la proposta di una ‘cittadinanza 2.0’ che possa tutelare gli abitanti dell’Unione nel caso in cui i Paesi d’origine introducano limitazioni delle libertà e dei diritti. ‘Sarebbe uno strumento molto utile per l’integrazione dei migranti’, ha aggiunto, formulando l’auspicio di un’Europa ‘reale e necessaria’.
Si vola alto, insomma, com’è giusto che sia in questo contesto. Se ne è mostrato compiaciuto anche il ministro della Cultura, Alberto Bonisoli, che ha approfittato del saluto inaugurale per ribadire il proprio accordo rispetto alla soluzione data alla vicenda Altaforte. Anche il duello con Milano, dove nel 2017 e nel 2018 si è tenuta la fiera concorrente Tempo di Libri, sembra ormai archiviato. Qualcosa forse cova ancora sotto le ceneri di questa singolare guerra civile che ha inaspettatamente (e inspiegabilmente) diviso l’editoria italiana. Se ne parlerà un altro giorno, magari. Al suo debutto, il Salone che ha per motto il titolo del più celebre e labirintico romanzo di Cortázar, Il gioco del mondo, preferisce rimettere insieme i pezzi e dimenticare, se possibile, l’insidia delle carte bollate.
Fonte: Avvenire.it