Dal 1964 il Sermig con i suoi arsenali di pace e speranza è l’esempio di cosa possa fare il volontariato ispirato dalla fede e dai valori laici della solidarietà e della sussidiarietà. Nel dibattito aperto dall’intervista del professor Stefano Zamagni a Diego Motta, interviene Ernesto Olivero, fondatore dell’Arsenale della pace di Torino, che martedì riceverà una laurea ad honorem all’Università di Padova.
Cosa pensa di questo attacco ai valori della solidarietà?
È una negazione della natura stessa dell’uomo. La solidarietà non è un valore astratto. È un volto, una storia, una lacrima, una persona da fasciare. La solidarietà è figlia della commozione che di fronte a un problema non ti fa girare dall’altra parte, ma ti fa dire: “Cosa posso fare?”. È così da sempre. L’uomo vive la sua pienezza solo se fa entrare gli altri nella propria vita. Nella mia esperienza ho capito che la vera felicità è fare felici gli altri. Il mio ragionamento parte da qui, ma non evito la dimensione politica di questa polemica. Nella società che sogno, ognuno fa la propria parte: lo Stato, le categorie sociali, i singoli. E il metodo dovrebbe essere l’armonia, il rispetto, mai il conflitto o la delegittimazione. Questo stile inizia dalle parole.
Che valore ha la gratuità?
Un valore immenso e produce un effetto moltiplicatore anche da un punto di vista economico. Vedo ogni giorno persone che si tolgono il pane di bocca per aiutare chi è solo, chi non ha futuro, chi non ce la fa. Senza migliaia e migliaia di volontari l’avventura degli Arsenali sarebbe finita da un pezzo. Mi commuovo nel vedere questo mare di bene fatto di persone di ogni età, cultura, religione. Persone che danno prima di tutto quello che sono, poi quello che hanno. La gratuità è la base della reciprocità delle relazioni, l’elemento che non fa mai vedere nell’altro un problema. Solo così si può costruire una società più giusta.
Com’è possibile che gli italiani abbiano scordato il valore della cooperazione e dell’associazionismo?
Questi valori sono le nostre radici, mai recise. Tocca a noi prendercene cura, adottare il modello proposto dall’autore sacro all’inizio incoraggiante del libro dei salmi: “Beato l’uomo… Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai, riusciranno tutte le sue opere”. Oggi purtroppo tanti vanno dietro a parole di odio, a strumentalizzazioni spesso costruite su problemi e fenomeni mal gestiti. Viviamo oggettivamente in un tempo di toni sopra le righe in cui conta trovare un nemico sempre e comunque. Ma il bene esiste, anche se non fa rumore e fa una grande fatica a mostrarsi. Sicuramente nessuno è perfetto. Forse qualcuno non si è comportato nel modo giusto. Ma non si può buttare via il bambino con l’acqua sporca.
Con quale spirito e grazie a chi ha costruito gli Arsenali e il Sermig?
Il Sermig è nato dal sogno di un gruppo di giovani di sconfiggere la fame nel mondo. Non combattere, proprio sconfiggere. Era una visione totale, proprio come l’amore. Quando si ama qualcuno non lo si fa per un po’ di tempo. O tutto, o niente. Dovremmo usare lo stesso metodo per portare avanti i sogni e gli ideali in cui crediamo. Quando siamo entrati nel vecchio rudere dell’arsenale militare di Torino, non ci siamo fatti spaventare. In fondo, vedevamo quello che sarebbe diventato. La nostra determinazione e il sogno di un gruppo di ragazzini che volevano trasformare un luogo di guerra in una casa di pace diventarono una buona notizia per tanti. È così che abbiamo incrociato le scelte di bene di milioni di persone che ci hanno aiutato, sostenuto, incoraggiato. Ancora oggi il nostro bilancio è coperto al 93% dagli aiuti della gente comune. Per me è uno stupore continuo.
Pensa che questo attacco senza precedenti possa allontanare i giovani dal sociale?
Intravedo un rischio ancora più grande, quello di bloccare la loro capacità di cambiare le cose, di immaginare soluzioni ai problemi, di spendersi per grandi ideali. I giovani sono gli stessi di oggi e di ieri, possono prendere il buono del passato e renderlo presente, possono essere davvero la chiave di un cambiamento. Ma nel medio periodo rischiano di cadere nella trappola di chi vuole sostituire l’io al noi, ragionare secondo la logica del nemico o dell’infedele, del diverso che deve far paura ad ogni costo. Se i giovani faranno proprie queste dinamiche, saranno destinati a una vita inutile.
C’è chi vede nell’attacco ai corpi intermedi un attacco alla democrazia. È d’accordo?
Assolutamente. La ricchezza di una comunità civile è la presenza di istanze, iniziative, realtà capaci di camminare insieme. Lo stato di diritto non è un fine, è lo strumento che permette a tutti di convivere, di darsi delle regole comuni, di riconoscere nell’altro il proprio volto. Dove non arriva uno, può arrivare un altro. Dove manca una soluzione, la si può cercare insieme. Dove c’è un’esperienza maturata, altri possono imparare qualcosa.
La preoccupa il clima che si respira in Italia?
Molto. Sia chiaro, il mio non è un giudizio politico in senso stretto. Mi preoccupa il rischio di chiusura, l’indifferenza che dilaga tra tanti, l’incapacità di sentirsi parte di un tutto. L’idea che in fondo i problemi di chi ci vive accanto non siano così importanti. Dovremmo avere uno scatto di orgoglio: noi siamo il Paese di san Francesco, di Giorgio La Pira, di Galileo, di grandi santi, artisti, uomini di pensiero. Dobbiamo ripartire da lì, essere degni di questa eredità.
Qual è il modo più efficace di rispondere alle accuse di carità pelosa o di affarismo?
La parola chiave è conversione. Ognuno deve guardarsi dentro e capire se può fare meglio. Per chi è impegnato nel campo della solidarietà, è urgente mettere ancora di più al centro la trasparenza. È un mio pallino. Il denaro donato è sacro. È come avere un azionista di maggioranza a cui non poter nascondere nulla, come ci ha detto una grande personalità che ha esaminato i nostri bilanci. Una persona che mi affida i suoi soldi deve avere la certezza che siano spesi per l’intenzione che porta nel cuore. Bilanci trasparenti, nessuna speculazione, comunicazione positiva. In questo modo le accuse si scioglieranno come neve al sole.
Fonte: Paolo Lambruschi | Avvenire.it