La proposta dei Saturdays for Future, i Sabati per il Futuro, è una richiesta forte di passare dall’indifferenza all’I care, dalla passività alla cittadinanza attiva, dalla fatalità all’assunzione di responsabilità. È la sveglia per ricordarci che i sistemi non stanno in piedi da soli, ma col contributo di ciascuno di noi; e se da una parte ciò ci carica di responsabilità, dall’altra ci fa capire il valore politico della coerenza. Ci fa capire che la politica non si fa solo nella cabina elettorale o nelle manifestazioni di piazza. La politica si fa in ogni momento della vita: al supermercato, in banca, sul posto di lavoro, all’edicola, in cucina, nel tempo libero, quando ci si sposa… Scegliendo cosa leggere, come, cosa e quanto consumare, da chi comprare, come viaggiare, a chi affidare i nostri risparmi, rafforziamo un modello economico sostenibile o di saccheggio, diamo forza a imprese responsabili o vampiresche, contribuiamo a costruire la democrazia o a demolirla, sosteniamo un’economia solidale e dei diritti o un’economia animalesca di sopraffazione reciproca. In effetti, la società è il risultato di regole e di comportamenti e se tutti ci comportassimo in maniera consapevole, responsabile, equa, solidale, sobria, non solo daremmo un altro volto al nostro mondo, ma obbligheremmo il sistema a cambiare anche le sue regole perché nessun potere sbagliato riesce a sopravvivere di fronte a una massa pensante di persone che fanno trionfare la coerenza sopra la codardia, il quieto vivere, le piccole avidità del momento.
Ha senso che la proposta dei Saturdays for Future parta dall’Italia, grazie all’iniziativa assunta da Leonardo Becchetti ed Enrico Giovannini, lanciata da ‘Avvenire’ e accolta e rilanciata con interesse dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, perché la nostra terra ha un’antica tradizione di cultura della responsabilità. Lo dimostrano le associazioni di volontariato diffuse su tutto il territorio, i gruppi di acquisto solidale, le iniziative di microcredito e di finanza etica, i distretti di economia solidale, le transition towns (le città di transizione, impegnate per darsi un futuro sostenibile). Ogni iniziativa con le proprie specificità, ma tutte accomunate dalla convinzione che il mondo non va lasciato andare per la sua strada, bensì indirizzato col nostro impegno verso l’equità, la sostenibilità, la dignità per tutti. Ed ecco l’importanza del consumo rispetto al quale si pongono scelte sia di quantità sia di qualità. Fra le ragioni che hanno spinto le Nazioni Unite ad aggiungere il consumo e la produzione responsabile fra gli obiettivi all’Agenda 2030 ci sono tre notizie che si accompagnano a tre numeri.
La prima: ogni anno si gettano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo.
La seconda: la produzione di cibo contribuisce al 22% dei gas serra corresponsabili dei cambiamenti climatici.
La terza: 2 miliardi di persone sono obese o sovrappeso.
Tre indicatori che ci parlano della nostra follia, perché solo i folli mettono a soqquadro il pianeta per produrre ciò che poi gettano in discarica o consumano contro ogni regola di buon senso.
L’appello più autorevole a cambiare gli «stili di vita» è venuto da papa Francesco, nella Laudato si’. Ma perfino BP, grande impresa petrolifera, fa notare che se non mettiamo in discussione gli attuali stili di vita, non riusciremo ad arginare i cambiamenti climatici. Il suo ultimo rapporto segnala che nel 2018 le emissioni di anidride carbonica sono cresciute di un ulteriore 2,9% rispetto al 2017. Aggiunge anche che un contributo importante l’hanno dato i sistemi di riscaldamento e di raffreddamento dei nostri edifici. Il messaggio sottostante è che solo recuperando il senso della misura potremo tornare a ripristinare gli equilibri perduti con la natura. Un traguardo che però non raggiungeremo mai finché non cambieremo la nostra idea di ricchezza. Nell’ingorgo del denaro, consideriamo ricchezza solo quella materiale, ma il crescere delle insonnie, delle depressioni, dell’aggressività, dell’abuso di sostanze ci ricordano che non siamo solo un ammasso di muscoli da coltivare e di placche sensitive da assecondare. Siamo anche dimensione affettiva, intellettuale, sociale, per cui è ricchezza anche l’abbraccio, il dialogo in famiglia, la lettura, la contemplazione. La grande sfida dell’umanità è come organizzarsi a livello economico, urbanistico, sociale, per lasciare a ogni dimensione il giusto tempo e il giusto modo per potersi sviluppare. Per questo è importante utilizzare i Saturday for Future per lanciare una nuova idea di ricchezza e di benessere, dandosi appuntamento davanti ai supermercati anche per momenti di riflessione collettiva su ciò che ci rende felici.
Se l’eliminazione del superfluo è uno dei pilastri della sostenibilità, altrettanto importante è fare attenzione alla qualità di ciò che consumiamo in modo da privilegiare i prodotti a basso impatto sociale e ambientale. Soprattutto con la stagione estiva si ripropone il grande tema dello sfruttamento dei migranti e lavoratori poveri italiani addetti alla raccolta di frutta, pomodori e altri prodotti della terra. Non a caso Oxfam ha lanciato la campagna Al giusto prezzo per dare ‘pagelle’ ai maggiori supermercati italiani in materia di trasparenza e responsabilità sociale. Pagelle messe a disposizione dei consumatori perché senza informazioni non si è consumatori critici, capaci di ‘votare col portafoglio’, bensì consumatori frustrati, inutili a se stessi e agli altri. In conclusione, il tema dell’informazione è centrale per il consumo responsabile non solo in ambito sociale, ma anche ambientale. Se avessimo più familiarità con concetti come zaino ecologico, impronta idrica, impronta di carbonio, non ci accontenteremmo di etichette che si limitano a darci notizie sugli ingredienti, sui valori calorici, sulla data di scadenza. Pretenderemmo di sapere anche quanti e quali veleni sono stati utilizzati, quanta acqua è stata impiegata, quanta anidride carbonica è stata emessa, quanti rifiuti si sono accumulati durante tutta la fase produttiva, il grado di riparabilità dell’oggetto in vendita. Perché solo con queste informazioni potremmo dare voti consapevoli, capaci di influire sulle scelte delle aziende. Altrimenti anche le migliori intenzioni rischiano di finire triturate nella gran macina del Greenwashing (cioè di quell’ingannevole e, in realtà, inconsistente patina verde applicata a vecchi e sbagliati modi di produrre e di mettersi in relazione con persone e territori). Per cui il grande tema che alla fine si pone riguarda chi darà le informazioni ai consumatori affinché i Saturdays for Future diventino prassi di consumo abituale che restituiscono piena sovranità ai cittadini.
In Inghilterra esiste Ethical Consumer, una rivista che ogni mese prende in considerazione un prodotto, ne esamina gli aspetti sociali e ambientali, fornisce pagelle sui comportamenti delle singole imprese. In Italia uno strumento del genere non l’abbiamo, ma potremmo crearlo. Basterebbe essere capaci di unire le forze. A titolo d’esempio, basterebbe un patto di collaborazione fra sindacati, associazioni dei consumatori, associazioni ambientaliste, associazioni di investitori etici e – perché no? – realtà ecclesiali. Non siamo ancora molto abituati a queste forme di collaborazione trasversale, ma dovremo prepararci a farlo, se vorremo dare delle risposte all’altezza delle sfide sociali e ambientali che il nostro tempo ci pone.
Fonte: Francesco Gesualdi | Avvenire.it