«È la nostra intera tradizione umanistica che è in pericolo con progressiva messa al bando dell’essere umano in qualità di essere che agisce ad opera dell’intelligenza artificiale» dichiara il filosofo Éric Sadin, classe 1973, uno dei più acuti critici dell’espansione dell’IA, di cui Luiss University Press ha pubblicato Critica della ragione artificiale (pagine 208, euro 21,00)
Perché l’intelligenza artificiale introduce «un nuovo regime di verità»?
A caratterizzare l’intelligenza artificiale è l’estensione della sua expertise che continua a migliorare. I sistemi sono ora in grado di analizzare situazioni di ordini sempre più diversi e di rivelare degli stati di fatto alcuni dei quali addirittura ignorati dalla nostra coscienza. E lo fanno a una velocità che supera le nostre capacità cognitive.
Può spiegarlo meglio, per favore?
Oggi stiamo vivendo un cambiamento di stato delle tecnologie digitali. Non hanno più lo scopo di permetterci di manipolare facilmente le informazioni ma pretendono di rivelare la realtà dei fenomeni di là dalle apparenze. Oggi i sistemi computazionali hanno una vocazione inquietante, enunciare la verità. Alla tecnica sono attribuite prerogative di nuovo genere come quella di illuminare con la sua luce il corso delle nostre vite.
Come tutto questo si manifesta nel nostro quotidiano?
Quando le tecniche sono chiamate a dirci la verità, si riconosce a loro la facoltà di parola. Succede con gli altoparlanti connessi con cui interagiamo oralmente. O con i chatbot o con gli assistenti vocali digitali progettati per guidarci nel vivere quotidiano. Saremo sempre più circondati da spettri incaricati di amministrare le nostre vite. È ciò che chiamo power-kairos, la volontà dell’industria digitale di essere continuamente presente al nostro fianco per influenzare le nostre azioni. L’imminente lotta industriale vedrà una competizione di presenza, dove ogni attore si sforza di imporre il suo impero spettrale a spese di tutti gli altri.
Secondo lei l’umanità si sta dotando di strumenti per rinunciare alla sue prerogative decisionali…
Viviamo la svolta ingiuntiva della tecnologia. È un fenomeno unico nella storia dell’umanità che vede le tecniche richiederci di agire in un modo o nell’altro. Questo non avviene in modo uniforme ma agisce a diversi livelli. Può cominciare come incentivo, per esempio con un’applicazione di coaching sportivo che suggerisce un tipo di integratore alimentare. Oppure avviene a livello prescrittivo, come in caso di valutazione della concessione di un prestito bancario o nel settore del reclutamento che si avvale di robot digitali per selezionare i candidati.
Che conseguenze avrà?
Parliamo spesso della favola della complementarietà uomo- macchina ma più il livello delle competenze automatizzate sarà perfezionato, più la valutazione umana sarà emarginata. Fino a raggiungere livelli coercitivi, emblematici nel mondo del lavoro, che vede i sistemi ordinare alle persone i gesti da eseguire. Il libero esercizio della nostra facoltà di giudizio è sostituito da protocolli progettati per guidare le nostre azioni.
Per questo lei considera l’intelligenza artificiale un antiumanesimo radicale?
Con il pretesto di facilitare del lavoro, essa ha nascosto il capovolgimento in atto. Le tecnologie digitali e gli strumenti per il supporto decisionale sono diventati organi decisionali. Saremo sempre meno chiamati a dare istruzioni alle macchine e sempre più a riceverle da loro. Così l’intelligenza artificiale marginalizza l’esercizio della nostra facoltà di giudizio e mina il nostro diritto a determinarci liberamente e in coscienza.
Come accade?
Nella loro ambizione di governarci continuamente, questi sistemi stabiliscono una relazione strettamente utilitarista con l’esistenza, collegando ogni azione debba a un fine, che si tratti del cosiddetto comfort o ottimizzazione delle sequenze delle nostre vite. È la singolarità degli esseri e della pluralità umana che viene gradualmente neutralizzata da modalità di organizzazione automatizzate che dissipano il conflitto, la deliberazione e la concertazione, principi alla base della vita politica democratica. C’è la volontà di eliminare tutte le incertezze, le debolezze, le fallibilità che nasce dalla negazione della nostra umanità per stabilire una società presumibilmente perfetta, una sorta di estremo igienismo.
Come difenderci?
La velocità degli sviluppi, presentati come ineludibili, ci priva della capacità di pronunciarci in coscienza. Mentre i corifei dell’automazione del mondo sono molto intraprendenti, a dispetto delle conseguenze per la civiltà, noi ci ritroviamo colpiti dall’apatia.
Quindi?
Prima di tutto bisogna contraddire i tecno discorsi e riportare testimonianze provenienti dalle realtà dove questi sistemi operano, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali… Dovremmo manifestare il nostro rifiuto rispetto a determinati dispositivi quando si ritiene che minino la nostra integrità e dignità. Contro l’assalto antiumanista, bisogna imporre un’equazione semplice ma intangibile: più si tenta di privarci del nostro potere di agire, più è necessario agire.
Fonte: Simone PALIAGA |Avvenire.it